DA INSIDEART #119
Analizzare il reale, accumulare dati, manometterli per mettere in piedi un altro reale non più vero del vero
Data l’enorme quantità di dati a nostra disposizione e sistemi di analisi sempre più potenti, l’elaborazione teorica è obsoleta: il mondo è tutto in quel materiale, bisogna solo metterlo assieme e a questo ci pensano le macchine. La fine della teoria è il titolo del noto articolo del giornalista Chris Anderson pubblicato su Wired nel giugno del 2008. E più o meno dice questo; proclama anche l’inizio dell’era dei petabyte e definisce un nuovo dio detentore della verità: l’algoritmo.
L’esclusione dell’umanità da questo processo rende il tutto più oggettivo, più vero: è il computer che raccoglie, elabora i dati e produce il risultato e il computer non ha sentimenti, non ha pregiudizi; il computer si sa non sbaglia mai. «Per il progetto Augmented Rome – dice l’artista Priscilla Pallante – ho seguito per sei mesi un percorso nella città diviso in nove tappe turistiche. Ho camminato con un registratore raccogliendo grandi quantità di dati sonori e grafici grazie a una serie di schizzi realizzati dai monumenti incontrati. Per altri sei mesi ho lavorato su questo grande archivio, selezionandolo, pulendolo dai dati grafici. – continua l’artista – Dopo un intenso lavoro di astrazione, sono emerse le sculture in 3d, monumenti ridotti alla pura forma geometrica. Dall’audio, invece, attraverso la cimatica ho raccolto un grande numero di dati iconografici e per ogni tappa ho selezionato tre immagini rappresentative. L’audio, le sculture e le immagini hanno lo scopo di visualizzare un’altra Roma che dalla raccolta dati di quella che conosciamo ne immagina un’altra».
Il metodo scientifico, il quo facto calculemus di Leibniz nel quale il mondo poteva essere spiegato con un’equazione, il positivismo e tutta la seconda rivoluzione industriale, trovano un punto di arrivo nella fine della teoria. Il grande esterno si trasforma finalmente in una sequenza di numeri esattamente come lo immaginavano Andy e Larry Wachowski in Matrix: numeri che definiscono, cose e persone; dati, tanti dati, incredibili quantità di dati perfetti per essere analizzati da una macchina. Così pervasiva come teoria da sviluppare nell’essere umano una modalità di pensiero simile a quella di un computer: la così detta mentalità computazionale che «predilige sempre – ci dice James Bridle in Nuova era oscura – la risposta più semplice, quella che richiede lo sforzo cognitivo minore. Esige inoltre che esista una sola risposta, solo una, inviolabile, in assoluto».
«Lavoro sempre sulla raccolta dati – dice Pallante – fin dai miei primi progetti. Plastica per esempio è la reificazione di un diario di sogni che ho tenuto per molto tempo, Spectrum trasforma sequenze musicali selezionate in architetture e poi in paesaggi. Il loop anche mi affascina nel suo essere così artificiale: un parte di un brano, un nucleo, riprodotto all’infinito per esempio, oppure una narrazione circolare come spesso è quella dei sogni».
Non è la prima volta che crediamo a una macchina in grado di fare meglio, più veloce, più vicino alla verità di quanto farebbe un essere umano. Era il 1839 e parliamo della fotografia. E a voler essere più precisi ancora era il 1844 quando veniva stampato quello che viene ricordato come il primo libro fotografico della storia The pencil of nature. Fra le pagine ci sono le fotografie e le parole del suo autore William Henry Fox Talbot. Il volume è a conti fatti un manifesto sull’obiettività della fotografia definita appunto la matita della natura, vera perché non fatta da mano umana.
«Nella raccolta dati – spiega Pallante – sono molto precisa ma non mi interessa una riproposta scientifica di quel materiale, non mi interessa la verità. Il risultato è dettato dall’interpretazione di quello che vedo e come tutto dovrebbe essere preso con le pinze. Vorrei poter dire di riuscire a escludere ogni soggettività ma non è così, è impossibile prescindere dall’essere umano. Per quanto possa utilizzare strumenti tecnologici e scientifici credo che la macchina non sarà mai oggettiva finché non sarà in grado di costruirsi da sola. E finché la costruirà un uomo manterrà le sue stesse caratteristiche».
Entrambi i sistemi, computer e fotografie, devono quindi gran parte della loro filiazione alla verità basandosi sull’estraneità nel processo di produzione dell’essere umano. Più corretto: presunto processo di estraneità. E del resto il computer funziona come è stato programmato, ereditando dal suo programmatore la sua cultura, i suoi pregiudizi, gli stessi dati raccolti sono materiale sporco specchio di una precisa visione del mondo; così come la fotografia ha ereditato dal sistema rappresentativo occidentale il suo modo di presentare la realtà e come esempio basti la prospettiva. In ogni caso c’è molto più umano di quanto si possa pensare in un primo momento.
«Parallelo a Augement Rome c’è Ciucciuì. Il lavoro – spiega Pallante – è un’indagine alla ricerca di un mostro della mia infanzia utilizzato dai miei parenti per mandarmi a letto la sera, Ciucciuì appunto. Come un investigatore ho raccolto più dati possibili con i più disparati strumenti: trappole notturne a infrarossi, fotografie d’archivio familiare, scannerizzazioni prelievi organici e inorganici muovendomi nei luoghi di questa storia. Ho fatto di tutto per dare scientificità a un’indagine che a conti fatti non potrebbe mai essere condotta. Spesso ho manomesso io stessa le prove creando falsi luoghi e paesaggi di quest’improbabile indagine scientifica. Questa mole di materiale è stata poi elaborata da un programma di interpolazione dati che ha prodotto una frequenza audio. Il suono che ne risulta è l’audio reale fra virgolette di questo misterioso e spaventoso mostro notturno».
Quella verità obiettiva, quindi, così ricercata non sarà trovata oggi; e quella diffidenza nei confronti di un mondo a una dimensione, quella resistenza a escludere l’espressione umana, quella capacità di rigirare strumenti per scopi opposti ai quali sono stati progettati, appartiene da sempre all’arte e un esempio ne è Priscilla Pallante.