Fermarsi in quel momento in cui immagini e parole risuonano, arrestare il proprio pensiero lì dove questo si moltiplica, lì dove la collezione parla. Perché, come afferma l’artista e teorico della fotografia Allan Sekula, se non vengono poste domande all’archivio, esso tace, resta visibile ma dolorosamente muto. In alto, sulle pareti, in rettangoli rossi e bianchi, seguendo l’andamento di un alfabeto, si snodano i concetti illustrati nelle immagini. E le opere, una selezione di 500 tra fotografie, album e video delle oltre 6mila acquisite dalla Fondazione MAST Bologna, abitano tutte le aree espositive dell’edificio. The Mast Collection. Un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia, in mostra fino al 22 maggio, è “una memoria visiva che vuole rappresentare il processo di industrializzazione della società e la sua evoluzione” afferma Urs Stahel, curatore e advisor della collezione. Una storiografia dei risultati, delle condizioni e delle conseguenze dello sviluppo tecnologico in cui passato, presente e una rappresentazione del futuro si intersecano e si scontrano. E l’alfabeto visivo, composto da un centinaio di vocaboli prelevati dal mondo del lavoro, dell’industria e della tecnologia, dà forma a un sistema concettuale, a un dispositivo di categorie interpretative che vanno da “abbandonato”, “incidente”, “acciaio” e “centrale elettrica”, a “capitalismo”, “lavoro infantile”, “colonialismo” e “industria alimentare”, fino a “orario di chiusura”, “migrazione”, “schiavitù” e “consiglio di amministrazione”. In questa piccola storia visiva della fotografia industriale e del lavoro gli scatti per cataloghi promozionali entrano in collisione con la fotografia documentaria e l’arte concettuale; gli antichi processi di sviluppo e di stampa con le stampe digitali, inkjet e 3D; il lavoro artigianale e operaio resiste e soccombe all’“intelligenza artificiale”, all’“alta tecnologia”, all’elaborazione automatizzata dei dati. Le opere tessono una trama di analogie e corrispondenze, cortocircuiti e opposizioni: il cupo “paesaggio industriale” Gas a corrente di Abert Renger-Patzsch, “una poesia malinconica dell’epoca industriale”, la “fabbrica” che scandisce con i turni il tempo dell’esistenza in Sybille Bergemann e lo scintillante impianto “high-tech” di Space simulator di Thomas Demand; lo sciopero delle “operaie” della Fiat nello scatto di Paola Agosti e le impiegate negli uffici di Lee Friedlander; i ritratti di bambine lavoratrici di Lewis Hine e la comunicazione sommersa del cloud di Andy Sewell, lieve e immateriale come cavi d’acciaio che si posano nell’oceano; fino agli “scarti” chimici che si insinuano nei corpi nei reportage di Eugene Smith e agli stabilimenti del “paesaggio urbano” postapocalittico delle fotografie di Michał Cała, di Napoli, via Nuova Bagnoli n. 512 di Mimmo Jodice e di Bagnanti felici sulla Sihl con ciminiere fumanti di Hans Peter Klauser. La mostrarestituisce un intreccio di relazioni e di interpretazioni, una rete di connessioni, intersezioni e dissonanze, innescando un percorso di rimandi e richiami che dilata le possibilità di immaginazione. Ed è forse negli spazi oltre le convenzioni alfabetiche e le classificazioni tuttavia che risiedono le potenzialità di creare prolungamenti del suggerimento e dell’idea racchiuse nel termine chiave, costruendo link multidirezionali di significato, uno spazio della complessità. O una realtà contaminata e contaminante, una parabola di smontaggio, annientamento e autodistruzione.
THE MAST COLLECTION A VISUAL ALPHABET OF INDUSTRY, WORK AND TECHNOLOGY
10.02 / 22.05.2022
MAST Bologna
Info: www.mast.org