La Luce di Roma

Intervista a Guido Talarico, autore del docufilm che racconta la capitale vista con gli occhi di artisti e personaggi del mondo della cultura

Già dal titolo evocativo, La Luce di Roma, è facile intuire il contenuto del docufilm scritto e diretto da Guido Talarico nel 2021. Roma, la “stupenda e misera” città di Pier Paolo Pasolini, fa da sfondo a un susseguirsi di interviste, fatti a personaggi romani del mondo dell’arte di diverse generazioni, che forniscono nuove proiezioni, nuove strade da percorrere per arrivare a una rigenerazione culturale della città Eterna. La loro voce traccia un sentiero luminoso, dopo due anni cupi, attraverso cui si snoda un racconto attuale, politico, a volte concreto altre volte sognante, delle potenzialità e dei limiti di una città controversa ma da tutti amata.

Per realizzare Luce di Roma sono stati intervistati artisti e teorici che hanno fornito diversi punti di vista sulla Capitale sulla base delle loro esperienze di vita e professionali. Com’è nata l’idea di documentario e a quali risposte ha portato?

«Il film ha un obiettivo chiaro che consiste nell’utilizzare gli artisti come uno strumento per decodificare la realtà ed immaginare un futuro migliore per Roma. Sono partito considerando il mondo della cultura come un soggetto politico. Per questo ho chiesto ad alcuni dei migliori artisti della nostra capitale di mettere la loro sensibilità, la loro capacità di preveggenza a servizio di tutti per capire come fare recuperare terreno e prospettiva alla città. L’idea di questo documentario è nata prima del Covid, guardando una città diventata l’ombra del suo mito, ripiegata in sé stessa, incapace di rialzare la testa e di immaginare un percorso di crescita e di sviluppo alla sua altezza. Con politica e classe dirigente, sia quella pubblica che privata, sul banco degli imputati. Insomma, davanti ad una città se non moribonda certamente in grandi difficoltà abbiamo chiesto aiuto a chi di mestiere vede prima le cose, a chi sa immaginare nuove strade. A loro abbiamo chiesto di indicarci soluzioni, percorsi alternativi, obiettivi concreti. E la risposta è stata magnifica. Tutti e 14 gli artisti che abbiamo coinvolto sono stati capaci di offrirci una prospettiva originale. Anche con la fotografia abbiamo cercato di dare spazio ad una Roma diversa da quella dei cliché. Abbiamo puntato sulle realtà contemporanee più vive, ma magari sconosciute al grande pubblico. Gli atelier, i musei, i luoghi d’arte più reconditi. Insomma, abbiamo fatto vedere una città meno nota ma altrettanto entusiasmante».

Come sono stati selezionati i personaggi intervistati? Ci sono degli aspetti che li accomunano?

«La scelta non è partita dai generi. Ho coinvolto artisti con storie creative e professionali e con sensibilità diverse proprio per avere punti di vista differenti che dessero allo spettatore e alla città un ventaglio di stimoli ampio. Il punto comune è stato mettere la cultura al centro di qualsiasi progetto di sviluppo per Roma. Poi, sotto questo ineliminabile ombrello, ciascuno ha offerto letture diverse. La forza degli artisti sta nella loro capacità di visione ulteriore. E il film alla fine questa visione la offre. Ora ci vogliono orecchie capaci di sentire e dirigenti in grado di mettere a terra questi stimoli intellettuali».

Dario Franceschini ha di recente affermato che con i nuovi investimenti identificati nel PNRR la cultura guiderà la ripartenza del Paese. Cosa può fare il mondo delle istituzioni per rilanciare la cultura a Roma?

«Gestire Roma è una impresa complicata perché la magnitudo dei problemi, dal personale alle risorse, dall’Ama all’Atac, dalla viabilità alla questione del degrado sociale, è molto alta. Bisogna scomporre i problemi e affrontarli uno ad uno, partendo però da una visione chiara su dove si vuole arrivare. Nella “Luce di Roma” gli artisti hanno indicato una strada precisa che, come dicevo, è la cultura, nel senso più ampio del termine. Ora sta alla nuova giunta capitolina dare un segno di discontinuità con il passato e fare vedere di che pasta è fatta. Il sindaco Roberto Gualtieri e l’assessore alla cultura Miguel Gotor hanno una credibilità professionale e personale per cambiare il corso delle cose. Li attendiamo ora alla prova dei fatti, pronti noi stessi a collaborare perché a tutti tocca dare una mano, sperando che partano proprio dall’arte e dalla cultura».

Ogni artista che si confronta oggi con Roma deve fare i conti con il peso schiacciante dell’eredità culturale di questa città. Alla luce delle interviste fatte, come si relazionano gli artisti con la dimensione urbana in cui lavorano?

«Ogni artista vive Roma a modo suo. Come del resto molti di noi. Quello che mi è sembrato essere il comune denominatore che li unisce è il desiderio di fare di più. La storia, la tradizione culturale, le vibrazioni, gli stimoli della città eterna sono lì a portata di tutti. Ciascuno li può riconoscere e utilizzare come più ritiene. Ma per rinascere occorre “eliminare i parassiti”, come dice Piero Pizzi Cannella, e consentire agli artisti di esprimersi a pieno, intervenendo sul territorio con i loro lavori. Lo ricordano un po’ tutti e quel che dicono è emblematico perché di fatto è il tema di fondo: dare più opportunità. Lo sviluppo, come ha sottolineato Pietro Ruffo, alla fine è proprio questo: creare le condizioni perché la cittadinanza esprima il meglio di sé stessa».


Una considerazione, quella di Ruffo che porta a una riflessione anche sulla necessità di una ripartenza che tocchi non solo la cultura ma in generale la formazione del cittadino che vive la città e che è il destinatario e il fruitore principale dell’arte.

«Questo è uno dei temi di fondo del mio docufilm. Vale per Roma, ma può valere per ogni città o nazione. I luoghi ormai ci sono, quasi dappertutto. La questione di base è la formazione, è la cultura generale. Bisogna tornare non solo alle accademie e alle università, ma anche alle scuole. Lo dicono bene Gianmaria Tosatti e anche Cesare Pietroiusti. Il livello medio di preparazione pubblica è la precondizione della crescita. Sia quella culturale, che economica e sociale. Bisogna ripartire da qui. Non è un problema di contenitori, ma di contenuti. La sfida è da un lato risolvere i problemi gravi che ci affliggono, e questa è la contingenza. Dall’altro è crescere partendo dalla gente, dalla consapevolezza e dalla maturità della cittadinanza, e questa è la prospettiva. E per farlo la cultura è certamente la luce di questa città, come di tutto il nostro Paese».

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