Intervista ad Alba Zari

Mettere tutte le cose a posto in storie disparate piene di umanità: personali e collettive

DA INSIDEART 119

Mettere tutte le cose a posto in storie disparate piene di umanità: personali e collettive

Nata nel 1987 a Bangkok, Alba Zari si trasferisce da piccola in Italia, a Trieste. Poi a Bologna, Milano e New York. Questi spostamenti la portano verso una perdita del senso di appartenenza a un luogo ben preciso, determinante nello sviluppo della sua poetica artistica. «Il motore che mi ha portato a spostarmi – dice l’artista – è condizionato dalla mancanza di un luogo che posso identificare come casa: non so dove sono le mie radici».

Si domanda allora cosa di un determinato paese la condizioni e influenzi; riflette sulla mutevolezza del concetto d’identità. «Cambiare tante città e paesi fin da piccola – aggiunge – ti porta a vivere una sorta di diaspora. Ecco perché forse, cerco di lavorare in modo rigoroso, di mettere tutte le cose a posto, di catalogarle e fare ordine nella mia vita».Alla ricerca di quest’ordine ricompone i tasselli delle storie più disparate, realizzando ricerche fotografiche spesso dal tono introspettivo e dalla forte carica intima, espressiva e malinconica. Saudade, per esempio, è un progetto fotografico realizzato con scatti presi da diverse parti del mondo. Ma è anche un concetto che indica uno specifico stato di malinconia, di nostalgia, dovuta all’assenza di qualcosa o qualcuno che si ama.

The Y, Physiognomic exclusion process, 2017

«È quasi un diario in forma di immagini – spiega Zari – una raccolta di luoghi che ho visitato. Sono paesaggi nostalgici e malinconici. L’attesa e l’assenza sono una caratteristica che raggruppa posti molto diversi tra loro. I personaggi ritratti in Saudade sono persone a me molto vicine per cui provo un affetto molto forte. È per questo che le immagini hanno una forte carica emotiva». È proprio la forza evocativa ed emotiva di questi luoghi a contraddistinguere il progetto dagli altri.

The Y nasce invece dalla necessità di elaborare una mancanza d’informazione: l’identità di suo padre e quindi anche, per metà, la sua. Ormai adulta, l’artista scopre che quello che fino ad allora pensava fosse suo padre biologico, in realtà non lo era. Decide quindi di intraprendere un’indagine, catalogando e suddividendo i suoi tratti somatici per arrivare poi a definire quelli appartenenti a suo padre e scoprirne le sembianze. «Nel libro The Y – dice Zari – c’è una parte del progetto che ha delle immagini lasciate in negativo. Le immagini nostalgiche si sovrappongono l’una sull’altra creandone una terza, il viaggio diventa onirico e sospeso».

Ala Zari
The Y, Reimagining family album, 2017

«Inizialmente – spiega – l’unica cosa che volevo ottenere era scoprire chi fosse e avere una sua immagine da portare con me. Ma alla fine del percorso ho imparato che la cosa più importante è la ricerca, elaborare il dolore, prendere la giusta distanza e dare un senso agli eventi».Attraverso uno studio fisionomico dei caratteri materni, ha potuto isolarli e riconoscere di conseguenza i caratteri appartenenti al padre biologico. «Il mio naso, la mia bocca e i miei occhi – afferma Zari – appartengono al padre che non ho mai conosciuto».

Si tratta di un lavoro che riflette sul potere della fotografia di permetterci di ricordare momenti del passato e di fissare per sempre un ricordo, ma che allo stesso tempo si rivela ingannevole. La fotografia si manifesta in questo lavoro come mezzo estremamente manipolabile e influenzabile da diverse interpretazioni ed eventi.

Alba Zari parte dagli archivi di famiglia, album fotografici nei quali ricerca una logica per poter ricostruire la sua storia. Quelle immagini dove appare la persona che fino a quel momento aveva considerato come suo padre la conducono a una reinterpretazione della realtà. Pur essendo un argomento estremamente personale, che coinvolge l’artista a un livello emotivo, Alba Zari riesce a distaccarsi dalla vicenda e analizzarla come se non le fosse mai appartenuta: prende le distanze dall’evento, lo studia scientificamente, riproponendolo sotto forma artistica. «La ricerca di mio padre – conferma – ha un’estetica investigativa e mescola diversi linguaggi: il mezzo fotografico è solo lo strumento per l’indagine. Questo modo di lavorare ha permesso una distanza emotiva su un progetto così personale, ha evitato la retorica del sentimentalismo».

Alba Zari
The Y, 2017

Nella serie Please, Turn, scattata poco prima di realizzare i ritratti per The Y, diversi modelli vengono fotografati da diversi punti di vista, finché il soggetto non ci volta le spalle. «Ai modelli – dice – ho chiesto di girarsi lentamente verso il muro, quasi a voltarsi e abbandonare qualcosa per poi rigirarsi verso di me. Sono ritratti a 360 gradi in cui voglio osservare i soggetti da ogni punto di vista, cercando in loro la fragilità umana. Il momento in cui li fotografo – conclude – è un istante in cui c’è una forma di arresa, un momento in cui finalmente cade la maschera».