So Many Forgotten Sunsets, la prima personale d Seboo Migone

Trasfigurazione è la parola d'ordine per leggere i dipinti dell'artista romano in mostra alla galleria Alessandra Bonomo

Galleria Alessandra Bonomo, photo Eleonora Cerri Pecorella

So Many Forgotten Sunsets è la prima personale dell’artista Seboo Migone e si svolge alla Galleria Alessandra Bonomo di Roma. Il titolo della mostra è immaginifico – “Così tanti tramonti dimenticati” – e si origina da un quadro di grandi dimensioni che l’artista ha dipinto nel suo studio nella Val D’Orcia la scorsa estate, dove sono state realizzate quasi tutte le opere esposte. Nel quadro, in maniera libera e del tutto originale, si assiste ad una trasformazione del paesaggio in un’immagine astratta. Il quadro ha una componente malinconica, come si evince anche dal titolo, ma la sua caratteristica è di generare energia. E una serie di disegni testimonia il luogo della Val D’Orcia dove ha il suo studio estivo, disegni di una maestria delicata, con un tocco leggero e suggestivo. E un dipinto in particolare, dal nome In the Sticks, un modo dialettale per dire smarrito, sembra portarci in un bosco nascosto dove aleggia una presenza onirica, a tratti inquietante, a tratti familiare. Ma non esiste solo la Val D’Orcia nei suoi soggetti: vi sono i ritratti e le opere tratte da foto e cartoline. In particolare una cartolina con quattro preti ortodossi su di un battello diventa l’opera Cargo: un’epifania dove i protagonisti galleggiano su di uno sfondo bianco leggermente tratteggiato dai colori del pesco che crea un senso di sospensione e che sembra richiamare un profondo nulla.

La storia di questo quadro è singolare: Migone si trovava in Grecia con il figlio, in un’isola delle Cicladi, e sotto la casa dove abitava c’era un emporio dove si vendeva di tutto, tranne le cartoline. Con la complicità del commesso è riuscito ad avere la scatola delle cartoline da cui ha scelto questa con i preti ortodossi. Spesso l’arte si origina da un caso fortuito che genera un cortocircuito ispiratore e il nostro artista carpisce da tutto ciò che lo circonda, plasmandolo, per farlo entrare nel suo mondo dove è molto importante la componente affettiva. E una fotografia di suo padre e la moglie su di una spiaggia, si trasforma in una danza allegra e leggera; il quadro ti invita ad entrare a farne parte, proiettandosi verso il mare, e a seguire le due figure che “danzano”. È fortemente evocativo, rappresentando, forse, un’epoca serena che non ci appartiene più. Due ritratti della figlia di Migone, Viola, sono caratterizzati da una ricerca di contestualizzare l’immagine in un racconto altro rispetto alla foto scattata: lei appare come una diva dei film francesi degli anni ’60, non a caso la foto da cui sono stati tratti è stata realizzata a Nizza. Viola è romanticamente immortalata in una trasfigurazione affettiva. La parte più cospicua della mostra sono gli autoritratti. Sono quasi tutti stati creati difronte ad uno specchio, spesso lo specchio era di quelli da donna che hanno due lenti sui due lati. Anche qui avviene una trasfigurazione: Migone non è più semplicemente l’artista, ma anche la sua figura filtrata da qualcosa di esterno, lo specchio. Nel corso dei secoli questo è sempre avvenuto, si pensi agli autoritratti di Parmigianino, per citarne tra i più celebri. Così egli si veste. Racconta che in un suo autoritratto si vede con un lato della faccia scandinavo ed uno greco. Racconta che, una volta, dipingendosi, lo specchio attaccato ad un chiodo, vibrava con il vento, così da dare movimento alla sua immagine mentre lui agiva. Un altro autoritratto ha i colori di Van Gogh. Un altro autoritratto tende all’astrazione. E così il pittore e disegnatore stesso, Migone, si trasforma continuamente e appare in molteplici modi che possono raccontare un inconscio prolifico che non si può circoscrivere solamente a ciò che ha già dipinto.

Fino al 19 febbraio, info: bonomogallery.com

crediti foto: Eleonora Cerri Pecorella

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