Private collection: Sabrina Donadel racconta il mondo del collezionismo

Il Bello: è questo il fil rouge che la nuova rubrica di Inside Art “Il mestiere delle Arti” ha deciso di raccontare.
Per farlo vi porteremo con noi in un viaggio multimediale nel contemporaneo, raccontando gli spazi, i personaggi e i nuovi mestieri che ruotano intorno al mondo dell’arte.

La nostra ricerca prosegue con l’intervista a Sabrina Donadel, giornalista e conduttrice televisiva, nota al grande pubblico per aver ideato, prodotto e condotto Private Collection, il primo format televisivo sul collezionismo oggi alla quarta edizione su Sky Arte. Sabrina, grazie alla sua empatia e innata capacità di mettere l’interlocutore a proprio agio, ha aperto le case dei più grandi collezionisti italiani e internazionali, facendo emergere in ogni racconto la parte più autentica e sentimentale che lega ogni amante dell’arte alle proprie opere. Dopo il grande successo del suo format, Sabrina sta virando l’attenzione al mondo del digitale attraverso il suo seguitissimo account Instagram. Sentiamo come.

Sabrina Donadel


Il tuo programma Private Collection ha portato le telecamere e il mondo della tv nelle case dei collezionisti italiani e internazionali più importanti: come è nata l’idea di produrre un format televisivo sul tema dell’arte contemporanea?
L’idea è nata da un’intuizione. Come giornalista televisiva mi sono sempre occupata di arte, cinema, letteratura, musica, e sono sempre stata appassionata di tutte le forme d’arte perciò non solo i musei, ma anche le gallerie d’arte sono tra i miei luoghi preferiti. Un giorno, all’opening di una mostra in una galleria, ho cominciato a osservare con interesse il viavai dei collezionisti invitati, ho fatto qualche domanda ai galleristi e lì mi si è accesa la lampadina, mi sono resa conto che, a fronte di numerosi documentari sulla vita e sull’attività degli artisti, non c’era nulla che raccontasse la passione e l’impegno dei collezionisti senza i quali, a ben vedere, il sistema dell’arte si fermerebbe. In fondo, gli artisti e i collezionisti sono le due facce della stessa medaglia: gli uni senza gli altri non vivono. Così, a partire dal 2014, sulle mie personali domande su chi sono i collezionisti di arte contemporanea, che cosa comprano, che cosa li spinge, in molti casi, a dedicare gran parte del loro tempo e delle loro risorse alla ricerca e all’acquisto di opere d’arte, ho cominciato a costruire Private Collection, un vero e proprio format televisivo che non ha eguali in tutto il mondo e che, da allora, è diventato il cuore della mia attività. Una sfida professionale a 360 gradi: portare le telecamere non solo dai collezionisti ma addirittura dentro le loro case per scoprire insieme a loro le opere d’arte con cui hanno un rapporto più intimo, facendo parte del loro quotidiano. Visite esclusive a case-museo private, inaccessibili al pubblico, cercando di raccontare l’arte contemporanea da un inedito punto di vista, quello delle emozioni, e tracciando un percorso che provi ad accorciare le distanze che spesso ci sono nei confronti dell’arte contemporanea. Oggi, dopo tre stagioni di Private Collection andate in onda su Sky Arte e 24 collezioni di arte contemporanea raccontate, tra le più importanti a livello internazionale, posso dire che sono felice di aver intrapreso questa sfidante avventura.

Sabrina Donadel

A proposito di  “mestieri delle arti” nel caso di Private Collection tu sei autrice conduttrice e produttrice del format, quale di questi tre ruoli hai preferito e quali complessità hai riscontrato?
Scrivere, nonostante sia il mio pane quotidiano da quando sono bambina e da quando ho cominciato a fare la giornalista a 19 anni, è sempre un’emozione per me. Ma scrivere Private Collection è stato un “andare oltre” perché, un conto è buttare giù un’idea nuova, un altro conto è scrivere un format televisivo che vive di regole e di una grammatica ben precisa che si deve rispettare perché il format possa trovare una collocazione nel palinsesto televisivo e perché possa avere successo di pubblico.
La conduzione, nonostante anch’essa sia la mia “comfort zone” perché conduco programmi televisivi da quando ho 20 anni, ogni volta mi regala dei brividi perché, a seconda di chi ho davanti, è sempre una storia diversa. Studio molto prima di incontrare una persona e di affrontare un argomento, l’ascolto e l’entrare nella vita degli altri secondo me è una cosa seria, ma poi c’è l’imprevisto che diventa la parte stimolante e arricchente del mio lavoro. Io vivo di imprevisti, di ciò che non è in programma, e il rapporto che scopro strada facendo con i miei ospiti diventa il cuore pulsante del racconto.
La produzione, ecco, questo è il ruolo che non avevo mai esplorato da sola in toto. La cosa più complicata, in qualità di produttrice, è senz’altro trovare i finanziamenti che sostengano il progetto; in Italia non ci sono sostegni rivolti alla divulgazione della cultura. E non serve aggiungere altro.

Private collection si sta evolvendo, vive la digital transformation e assume forme diverse, l’ultima quella delle dirette dal tuo account di Instagram. Raccontaci questa nuova rotta e come è percepita dal pubblico .
Un parallelo sviluppo digitale dei progetti credo sia necessario oggi, perciò cerco di raccontare l’arte contemporanea su Instagram, che è il social che più mi piace, partendo sempre dal mio format Private Collection perché credo nella coerenza del linguaggio e nell’autorevolezza del messaggio anche se si tratta di un “consumo” veloce com’è quello dei social. Questi due anni di pandemia hanno dato un’accelerata al processo e hanno mostrato quanto il mondo dell’arte contemporanea sia stato colto di sorpresa sul fronte digitale. Io ho lavorato molto in questo periodo utilizzando lo strumento delle dirette Instagram con dei format veri e propri scritti su misura. Durante il primo lockdown ho momentaneamente trasferito Private Collection su Instagram con i “miei” collezionisti che in diretta hanno mostrato a me e al mio pubblico l’opera d’arte cosiddetta “consolatoria” in un momento in cui tutti eravamo chiusi in casa, impauriti da quello che ci stava succedendo. Durante il secondo lockdown, invece, ho realizzato “Una sera al Museo” una Live settimanale con i direttori dei più importanti musei italiani di Arte contemporaanea, dal MAXXI di Roma, al Castello di Rivoli di Torino, al Museo del Novecento di Milano, i quali hanno aperto apposta per me e per il mio pubblico i loro musei chiusi da quasi un anno e sono stati guide speciali per la visita delle mostre in corso che pochissime persone erano riuscite a vedere. Esperienza di grande emozione.

Un’altra tua grande passione è il design, hai in programma un progetto che racconti in via così intima ed esclusiva anche quel mondo?
Sì, sono una grande appassionata di design e architettura, altra espressione dell’arte. 
Ho collaborato con alcuni dei più importanti designers e architetti realizzando contenuti che raccontano la loro attività. Proprio in questi mesi verrà presentato un cortometraggio che ho prodotto con la mia squadra di lavoro per raccontare le opere di Achille Salvagni, uno dei più noti designer sulla scena internazionale con galleria a Londra e presto anche a New York e in Asia.

L’artista e/o l’opera che  ti ha emozionata di più in questi anni di private collection.
Sono state tante le opere che ho avuto il privilegio di “toccare con mano” nelle case dei collezionisti e che mi hanno emozionata.  Non a caso uso il verbo “toccare” perché la scultura è senza dubbio un medium che mi attrae molto. E il mio cuore batte sempre anche per l’Arte Povera.

Il/la collezionista in cui ti sei riconosciuta per gusto e sensibilità?
Ogni puntata di Private Collection si conclude con me che saluto il mio ospite protagonista scattandogli una fotografia per il mio album e dicendogli “Voi collezionate arte, io invece colleziono collezionisti”. Dunque, da appassionata collezionista di collezionisti, non riesco assolutamente a fare una lista dei miei preferiti perché davvero non ci sono i miei preferiti. Del resto, se si prova a chiedere ad un collezionista di dirci qual è la sua opera preferita, la risposta è la stessa. Ops, mi accorgo adesso: allora anche io sono una vera collezionista! (Sorrido…)