DeepBlue, residenza d’artista#2

Milano

Deep Blue è il tema della residenza artistica che Lefranc Bourgeois, in collaborazione con Inside Art, ha lanciato (https://bit.ly/38VTu6C) per celebrare i suoi 300 anni. Uno dei giurati che selezioneranno i due artisti vincitori è il curatore e critico Fabrizio Pizzuto, che ci racconta la sua esperienza con il colore, con la pittura e, soprattutto, con il blu.

Lefranc Bourgeois, un brand che fa della vicinanza agli artisti il suo punto di forza. Una bella storia industriale internazionale. Qual è la tua esperienza o conoscenza di questo brand? 
«
Sono un curioso, e come curioso ho avuto una formazione atipica. Insieme agli studi di Storia dell’Arte (compiuti in Università, alla Sapienza per Claudio Zambianchi prima e a Siena per Enrico Crispolti poi) ho sempre frequentato gli studi d’artista e gli spazi espositivi, spesso facendo da assistente, salendo sui trabbattelli, facendo alla bisogna l’elettricista o quel che serviva. Mi sono convinto che è impossibile scindere la tecnica dalla materia viva, che si tratti di installazioni, di olio o di acrilico; nè entrambe dal risultato. Anche per amicizia, poi, nei miei pomeriggi, giravo per gli studi di artista costantemente, erano pieni di tubetti e mi mettevo a chiacchierare a lungo con gli amici pittori. In Accademia, dove insegno questo ci torna sempre utile, ritengo che l’occhio critico vada addestrato, e la conoscenza nel merito delle cose può risultare un vantaggio. È stato sopratutto in Accademia, tuttavia, grazie all’amicizia con alcuni colleghi che ho conosciuto ancora meglio la storia del brand. I tubetti che rendevano possibile il plein air e che comparivano nelle installazioni di Arman, sono, insieme a poche altre marche, quasi leggenda». 

Creatività e colore, due elementi che sono fondamentali nel linguaggio pittorico. Un linguaggio che in molti spesso criticano, ma poi torna sempre attuale. Qual è la tua opinione? 
«Non si può staccare il pensiero dalla realizzazione. La creatività è uno spazio composito, dove l’uno è il proseguimento dell’altro. La materia è parte integrante della realizzazione e spesso ne modifica i codici, anche in corso d’opera. Il colore stesso è, in parte, una variabile, che può risultare in alcuni casi quasi imprevista. Quante volte un effetto trovato cambia la composizione. Anche una sola zona di colore può fare cambiare un lavoro; per dirla alla Roland Barthes un punctum dentro allo studium, può colpire in profondità (anche se lui parlava della fotografia mi sento di poter traslare). La sopracitata critica la trovo un po’ cieca, forse non si rende conto di come il campo concettuale, mentale, quello rappresentativo e/o quello estetico possano camminare insieme e influenzarsi a vicenda». 

Che consigli ti sentiresti di dare a un pittore contemporaneo?
«Quello di non voler dimostrare una tesi, ma piuttosto di presentare un campo di analisi, di andare libero e di accompagnare il pensiero con l’opera, ragionando anche con le mani e non solo con la mente. Oggi la visione va completata insieme col fruitore, non bisogna avere ansia di educare ma trattare ogni visitatore da adulto, con rispetto, che è poi il contrario di quello che fa l’intero mondo dell’entertainment. Ma sopratutto di innamorarsi, di innamorarsi di una ricerca, del proprio lavoro, del colore, della stesura, degli effetti, della tela, dell’ambiente che si sta creando, e, al contempo, di non perdere mai il quadro, di non rendersi ciechi per via dell’innamoramento, ma continuare a tenere sotto controllo l’insieme. Innamorarsi della ricerca che si sta facendo significa infatti rispettarla, perché è una necessità, è una cosa da dire. Infine di non guardare mai a cosa funziona e cosa non funziona, nel mondo economico, quello del business dell’arte, perché, e questo me lo diceva sempre Fabio Mauri, queste cose cambiano ”da mattina a sera”». 

Il colore dell’anno è, ovviamente, il Blue Lefranc Bourgeois. Cosa ti evoca questa tonalità? 
«Da un lato avrei voglia di essere banale e di dire cielo e mare, o forse Klein. In realtà scopro che, cercando meglio, per me è un colore che rimanda alla possibilità di percepire il limite e il superamento del limite: il mare dentro cui naufragare che è dolce, e il cielo che è suggerito talvolta dall’impossibilità stessa di vedere oltre la siepe. E aggiungerei, che la presente, a volte, sembra proprio un’epoca il cui vagare con gli occhi è spesso ostruito».

 Volete partecipare anche voi alla call per la residenza? Bastano una buona idea e pochi click. Il resto è semplice e gratuito. A questo link trovate il bando e la scheda di iscrizione: https://insideart.eu/2020/06/29/una-residenza-dartista-a-colori/

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