Zardo

Roma

Nel 1992 l’edizione Camunia pubblicò il romanzo Nero – scritto da Tiziano Sclavi, il ”papà” di Dylan Dog – che lo stesso anno diventò un film, dall’omonimo titolo, per la regia di Giancarlo Soldi (interpreti: Sergio Castellitto, Chiara Caselli, Luis Molteni, Hugo Pratt). Un’opera già transmediale, insomma, a maggior ragione considerando che Sclavi aveva predisposto anche la sceneggiatura per un fumetto che oggi – a distanza di quasi tre decadi – si trasforma in realtà con i disegni di Emiliano Mammucari. Nonché un nuovo titolo: Zardo (Sergio Bonelli editore, 64 pagine a colori, 19 euro). Ma chi è, in realtà, Zardo? Un interrogativo, questo, solo in apparenza di semplice risposta. La vicenda, infatti, è alquanto intricata: Federico, lasciandosi convincere dalla sua nuova compagna Francesca, si reca a casa dell’ex fidanzato di lei. Lo trova assassinato e, temendo che l’omicida possa essere proprio Francesca, sceglie di disfarsi del cadavere. Ma un laido investigatore privato ha visto tutto. Ed eccoci a parlarne con lo stesso Mammucari. «Come è nata la collaborazione con Sclavi? È una sceneggiatura bizzarra, mi è stato chiesto se volessi disegnarla, ed eccoci qui». E quali sono state le tempistiche? «Ci ho messo un po’, devo ammettere. La sceneggiatura è stata sulla mia scrivania per tre anni, mi ”spaventava”. Aveva l’aria maledetta: i fogli erano mangiati dal tempo, alcune parti cancellate dal nastro di qualche fotocopiatrice d’epoca», spiega Mammucari, che aggiunge: «Il tema della storia è la spersonalizzazione, e il disegnatore che viene nominato a ogni pagina è un altro (ovviamente il disegnatore a cui era destinata all’epoca). E poi c’è il romanzo; io e i miei amici lo leggemmo appena uscito – all’epoca facevo il ginnasio – ma ognuno di noi ricorda una trama diversa. Alla fine ho fatto un bel respiro e mi ci sono tuffato dentro». In merito al lavoro con Sclavi, il fumettista e illustratore – classe 1975 – circoscrive: «Abbiamo parlato molto per allinearci sul modo in cui raccontare questa storia. Io, che ho il terrore della nostalgia, avevo proposto di azzerare tutto e portare Zardo al presente. Tiziano ha proposto invece di lavorarla esattamente come se fossimo negli anni Novanta: nessuna ricostruzione storica né concessione all’amarcord. È tutto nuovo, il muro di Berlino è appena caduto e noi siamo lì, per strada, con una valigia e un cadavere».
Mi chiarisci, invece, quale è stato il tuo approccio alle immagini? Che tecnica hai utilizzato? «Sono tornato a disegnare a mano, con gli strumenti di quando ho iniziato: pennelli, pennarelli a scalpello. Ho cercato un segno impreciso, graffiato, per ritrovare la grammatica di quel modo di fare fumetto che tanto amavo e che ora, inevitabilmente, si è trasformato. Ho cercato di ricordarmi com’era quel periodo, dove abitavo, com’erano le persone, i vestiti, gli odori», la replica. Cosa ti porti dentro, umanamente a non, a conclusione di questo lavoro? «Forse è cambiato il mio concetto di modernità. Ci sono codici, segni, parole che appartengono al nostro passato e che a volte guardiamo con sospetto: rivelano da dove veniamo, raccontano i nostri sbagli. Altre volte invece usiamo loro troppa deferenza, ci inventiamo delle miracolose età dell’oro che non torneranno più. Ecco: entrambi gli atteggiamenti fanno invecchiare presto una storia. Sto imparando che guardarmi indietro non significa necessariamente non guardare avanti», conclude Mammucari.

Info: www.sergiobonelli.it

 

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