10 must di Miart 2019

Milano

Per concludere l’art week milanese, ecco qualche spunto sulle opere più toccanti, sotto diverse sfumature, di miart 2019. Laddove la pittura continua ad affermare il suo protagonismo parallelamente a una presenza bilanciata di installazioni e sculture, la fotografia conferma la propria crescita. Certo è che a colpire sono state la ricerca degli artisti e le scelte espositive, due aspetti che sembrano il vero lavoro dei galleristi oggi. Con un’ormai affievolita tentazione, dilagante negli ultimi anni, di possedere opere importanti o stupire a tutti i costi, la volontà parte davvero dal racconto di qualcosa di nuovo anche attraverso l’allestimento o la scelta di un autore. 

Filippo Berta, Homo Homini Lupus – Prometeo Gallery
Un video, uno dei pochi rappresentanti della categoria presente in fiera, luce fredda, una distesa desolata. Due lupi si contendono una bandiera come fosse l’unica fonte vitale, provocando una lotta dissennata e convulsa in cui ciascuno cerca di sbranare più brandelli possibili. Nella storia dell’uomo la bandiera ha sempre definito un territorio entro cui avviene questa lotta fratricida e simboleggiato l’imposizione del proprio potere sugli altri. Filippo Berta ci mostra lo stato di natura, dove non esiste alcuna legge e dove ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri.

 

Latifa Echakhch, Erratum – Kaufmann Repetto
Frammenti di vetro di diversi colori riflettono la luce dello stand mentre giacciono sul pavimento. L’opera di Latiga Echackhch attrae per l’armonia che regna l’armonia a seguito di un (immaginato) caos. In questo caso, non c’è stata alcuna performance, perché l’azione di distruggere è avvenuta prima dell’apertura della mostra. D’altronde la violenza è intrinseca a molta pratica artistica, basti pensare al gesto di scolpire il marmo. Secondo l’artista, però, essa ha più a che fare con il risultato di un’azione radicale e irreversibile, è il modo migliore per liberare un oggetto dalla sua funzionalità, di decostruirlo. L’artista è molto legato a un’idea di natura morta, a questo paradosso tra la vitalità e l’immobilità delle cose viventi. A volte bisogna uccidere l’oggetto per permetterne una lettura diversa.

 

Ronald Ventura – Primo Marella Gallery
Fantascienza, storia occidentale, mitologia classica, cattolicesimo. Spunti diversi, quelli di Ronald Ventura, che vanno a sedimentarsi nel suo lavoro per uscire dalla tela in una forma totalmente nuova e particolare, come fosse un processo chimico. La sua pittura è di un realismo che sconvolge per quanto è distante dal reale percepito. Si tratta di opere più vicine al sogno e all’inconscio che pur prendono vita attraverso una tecnica estremamente realistica, quasi manierista. Come un regista che a un certo punto, mentre gira la scena, sente di aver bisogno di più comparse o più luce, così Ronald Ventura dipinge e ridipinge fino a che non è soddisfatto, attraverso un processo di addizione e sottrazione.

 

Roman Signer, Start – Michela Rizzo con Hausler Contemporary
Roman Signer è conosciuto soprattutto per le sue effimere sculture temporali con cui ha contribuito alla ridefinizione del concetto stesso di scultura legandolo alle idee di processo, trasformazione e movimento. La sua metodologia rivela spesso, attraverso una sospensione strutturata nel tempo, ciò che è raramente o molto raramente visibile, un momento effimero, in cui avvengono piccole metamorfosi di forma e materia. L’artista ha il desiderio costante che “qualcosa” accada e che altre cose rimangano. Maestro negli esperimenti, perché grande sognatore, con un’operazione ironica quanto poetica Signer ha tentato di andare nello spazio. Con un abbigliamento e un casco da pilota, è salito su un’ape car blu e si è fatto spingere all’indietro, volto verso il cielo. Start è l’istantanea di quel momento.

 

Ulay, White Bride – Richard Saltoun 
L’opera di Ulay rientra nella collettiva Transformer, che esplora il genere e la sua fluidità attraverso il lavoro di diversi artisti visionari e dirompenti. Una mostra che indaga sia l’estetica che la politica del trasgredire gli stereotipi di genere, insieme a Mariella Bettineschi, Jürgen Klauke, Pierre Molinier, Victoria Sin, Ulay.

 

Jonathan Berger – Veda
Per la sezione emergent, la galleria Veda presenta un vasto globo che occupa l’intero spazio dello stand. Fatta di numerosi e delicati anelli che si legano tra di loro, costruito da un materiale simile a lattina battuta. La superficie è popolata sporadicamente dal testo di una canzone d’amore, sulla relazione tra Charles e Ray Eame e che Berger ha illustrato utilizzando centinaia di piccole lettere tagliate a mano. Il globo ricorda lo spettacolo che permeava il lavoro di Eame, ricordando il suo “Solar Do-Nothing Machine”—una scultura cinetica di alluminio potenziata dal sole. Nonostante i movimenti fossero attivati dalla luce solare, davano la sensazione di una funzione industriale. Tuttavia il ruolo della macchina era “essere e non fare”, e tutto questo torna nell’opera di Berger, che lo trasporta su un piano concettuale.

 

Valerio Nicolai – Clima
Quello di Nicolai è un continuo e complicato tentativo di spiegare e descrivere il suo flusso di pensiero, estrapolandone i molteplici significati. «Ecco perché considero finita un’opera nel momento in cui non la comprendo più. Nel momento in cui capisco che non posso più raccontare, avverto una sensazione simile all’impatto con un foglio dimenticato, pieno di appunti e schemi. Essendo la narrazione inconclusa, non può più essere compresa.» L’artista lavora con la pittura, sfondando la superficie bidimensionale e sfidandone le sue caratteristiche strutturali. Nella sua opera un dettaglio, che appartenga al colore o alla forma, destabilizza lo spettatore, lasciandolo incantato come di fronte a qualcosa che, pur non comprendendola, attrae magneticamente.

 

Paul Gees -Loom Gallery 
Paul Gees, che negli ultimi 40 anni ha lavorato su pietra, ferro e legno, combina i materiali per trovare soluzioni che abbiano un equilibrio. Centinaia di varianti che sembrano tutte funzionare, per armonia ed invenzione, che rimandano all’arte povera, quella minimale e alla land art. Sculture e oggetti sedimentano per lunghi periodi nel suo studio, dove tutto rigorosamente resiste, con una punta di umorismo e una straordinaria sensazione di scampato pericolo. Dagli interventi semplici e intrinsechi si percepisce un senso di rigorosa organizzazione, dove la ricerca tende al dominio. Alla fine niente cade, tutto rimane su.

 

Roger Hiorns – C+N Canepaneri e Corvi Mora
La galleria londinese Corvi Mora ha portato un artista con cui lavora da 20 anni e che per la prima volta arriva al miart, condividendo lo stand con la C+N Canepaneri. Due diversi lavori esposti a confronto: uno in solfato di rame, con quell’azzurro luccicante che contraddistingue l’artista. L’altro inedito, una serie di sculture che pendono dal soffitto, fatte di interiora di una macchina. come fossero carcasse di animali da portare al macello. Producono schiuma.

 

Anna Maria Maiolino, Untitled from the series A Flor de Pele – Fotopoemacao – Galleria Raffaella Cortese
Artista italo-brasiliana, Traendo ispirazione dall’immaginario quotidiano femminile e dall’esperienza di una dittatura oppressiva e censoria – quella del Brasile negli anni Settanta e Ottanta – Maiolino realizza opere ricche di energia vitale, che fondono in uno stile inimitabile la creatività italiana e la sperimentazione delle avanguardie brasiliane. Attraversata dal tema dell’amore per le sue origini, la sua famiglia, la sua terra d’adozione e il suo lavoro, l’opera di Maiolino indaga i rapporti umani, le difficoltà comunicative e di espressione, e percorre il labile confine tra fisicità e sfera intima e spirituale.

 

 

 

 

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