Simone, Realtà Consumata

Dopo aver esposto alla galleria Interzone di Roma, Lucia Simone è ora a Fondamenta Gallery con la personale Realtà Consumata, inaugurata il 24 gennaio e visitabile fino al primo febbraio. Volti che talvolta osservano e talvolta discostano lo sguardo, pennellate densissime di colore contro scale di grigi, l’universo immaginario di Simone invita a entrare in uno spazio intimo e personale che disorienta chi guarda, rendendo ciò che era sembrato familiare fino allora, qualcosa di misterioso. Andare oltre l’apparenza, andare oltre i tabù imposti dalla società, andare oltre la realtà quotidiana per poi farvi ritorno con qualcosa in più. Impregnate di una forte carica immaginifica e onirica, le opere di Realtà Consumata sembrano appartenere al mondo del vissuto, un vissuto che poi, a ben guardare, non abbiamo mai visto con quegli occhi.

Da quale urgenza nasce Realtà Consumata?
«Nasce dalla volontà di mettere in discussione alcuni valori della società contemporanea. I lavori in mostra raccontano il fluire del dramma umano attraverso un viaggio perturbante: ”Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare” (Sigmund Freud, Il perturbante, 1919). Dunque, attraverso un linguaggio diretto, che può sembrare ostico, tento di innescare un meccanismo di riflessione attiva».

 E il titolo?
«Realtà Consumata ha origine in un dipinto che ho fatto in cui la consumazione di un pasto è paragonata alla consumazione visiva di fatti di cronaca, che a oggi avvengono nello stesso momento come all’ora di pranzo o di cena. Sia chiaro che non c’è alcuna intenzione di criticare i mass media e il loro scopo di divulgazione dell’informazione, ma solo di mettere in evidenza lo stato delle cose».

 Quali sono e sono stati i tuoi maestri, del presente e del passato?
«Francis Bacon, Daniel Richter, Adrian Ghenie, Gerhard Richter, Günter Brus, tutto l’espressionismo tedesco e l’espressionismo astratto».

Se da una parte la materia è il ritratto, dall’altra lo stesso viene trasfigurato. Negazione o ritorno dell’immagine?
«Non è una negazione, ma una sottrazione parziale della realtà, o meglio è la consumazione di essa. Infatti il lavoro nasce dall’esigenza di comunicare un pensiero, gli aspetti formali diventano una conseguenza».

Che importanza hanno la fotografia e l’uso delle tecniche digitali nei tuoi quadri?
«L’importanza sta a monte, ossia nel processo creativo che a volte porta alla realizzazione di un dipinto».

Fare pittura, essere giovane, vivere a Roma: nella tua percezione, come si amalgamano i tre elementi in questo momento storico?
«Come in ogni settore ci sono difficoltà, ma rimanendo attivi e sensibili alle dinamiche del mondo dell’arte si ottengono soddisfazioni e motivi di crescita personale e artistica».

 Progetti futuri o sogni nel cassetto?
«Collaborazioni con artisti e gallerie estere. Dal 5 al 10 febbraio sarò presente con un mio lavoro nella sala Project del Macro all’interno di un progetto dell’artista Giacomo Calebrese».

Fino al primo febbraio; Fondamenta gallery, via Arnaldo Fraccaroli 9, angolo Via Guglielmo Stefani, Roma

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