La Sorgente di Belyi

«Sorgente presenta sempre un carattere site-specific – racconta Peter Belyi, artista in mostra alla Galleria Pack di Milano fino al 17 gennaio – assumendo la conformazione della galleria, e sembra conservare alcuni rimasugli di forma liquida, che scorrono verso il basso, si raccolgono negli angoli, cambiano forma in base allo spazio. Il truciolato di cui è fatto è essenzialmente spazzatura, di second’ordine, post-industriale. Lo spreco derivante da un tipo di produzione che rappresenta lo spreco di un altro, come se riflettesse all’infinito il mondo dei surrogati cui siamo così abituati». Ed è proprio di una sorgente si tratta, che nella mente dell’artista è semplicemente e didascalicamente concepita come il congelamento dello scorrere del tempo, di un liquido (acqua o petrolio) che ha improvvisamente interrotto il suo movimento divenendo un accumulo di strati di truciolato. Fine. Un po’ come quando chiesero a Robert Smith da cosa nascesse l’idea del blasonato brano dei Cure A Forest, e lui rispose: ”Il brano parla di una foresta, tutto qui”.

In realtà c’è la complessità del divenire caro ad Eraclito, quel fluire incessante, inarrestabile e necessario, da non vivere con scontentezza: l’amalgama di trucioli apparentemente deboli e innocui si trasforma in una materia compatta, che esaurisce il suo corso, come un pozzo secco in cui a ristagnare è soltanto l’acqua sporca del fondo esondata con virulenza, che ci ricorda ciò che è stato e ciò che non sarà più, suggerendo l’idea di una disillusa consecutio temporum dell’esistenza. Sorgente è la mistura alchemica dell’era moderna, in cui la noncurante globalizzazione è stata arrestata da una materia sorprendentemente dura, respingente, dal riconoscimento della crisi. La siccità della sorgente mette fine a tutti i movimenti, perché, come sosteneva il presocratico padre del Pánta rheî, niente è permanente tranne il cambiamento.

 

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