After the tribes

Sudafricana di nascita, presto emigrata in Israele, Beverly Barkat è adesso a Roma al Museo Boncompagni Ludovisi con After the Tribes, una mostra a cura di Giorgia Calò. Alla base di questa meravigliosa installazione policromatica, ci sono le radici del popolo israeliano, radici che l’artista è andata a ricercare nella terra, negli anfratti rocciosi e nel mare. Una ricerca sull’identità e dell’identità, divisa tra l’appartenenza ad un luogo, a una cultura e la sua emancipazione.

Inaugurazione andata, come ti senti rispetto alla mostra?
«Durante la preparazione ho sentito che il lavoro sarebbe stato potente e in linea con quello che mi aspettavo, tuttavia non sapevo come sarebbe apparso all’interno del Museo Boncompagni Ludovisi. Venuto fuori dagli affreschi e le opere d’arte del Museo, una volta messo all’interno del Salone delle Vedute, è stato un piacere vedere come i due si presentavano insieme come un’unica cosa».

L’opera è stata create in Israele e concepita per Roma, lontano dalla terra dove è nata fisicamente e concettualmente. Qual è la relazione tra l’opera, il pubblico e lo spazio?
«Il lavoro è evoluto dal Museo a Roma e dalla sua storia da cui ho preso l’informazione che poi ho lavorato una volta rientrata in Israele. Tutto ciò mi ha portato alle idee dell’esposizione visibile oggi. È un dialogo tra lo spazio e l’idea che porta ad un’opera d’arte».

In un’intervista precedente hai affermato quanto sia importante il pubblico nel tuo lavoro per il processo creativo. Come si declina questo concetto, dove lo spettatore non è necessariamente l’interlocutore più intimo e diretto della storia del lavoro?
«Dopo essere rientrata in Israele con l’informazione e aver capito che volevo pormi delle domande sulla mia identità, essendo nata in Sudafrica e trasferita in Israele ed esponendo ora a Roma, ho cominciato a ricercare dentro di me le risposte. Così sono arrivata alle 12 tribù e l’importanza dell’identità di ciascuna e di tutte insieme come un gruppo. Una volta allestita la mostra a Roma, l’importanza dello spettatore è di rendere viva l’installazione attraverso il movimento e l’interazione nella stanza».

After the Tribes è un viaggio che attraversa una storia millenaria e che raggiunge il contemporaneo. Qual è il ruolo che dai a te in quanto artista all’interno di questo viaggio?
«Da artista sento che ho bisogno di sollevare delle domande per l’osservatore ma anche per me stessa. Le 12 tribù hanno vissuto nei loro rispettivi territori, creando una cultura indipendente e conducendo vite indipendenti, ma essendo un gruppo, collaborando tra loro, risultando così un’unità ancora più potente. Vedo la stessa necessità oggi per ciascuno di rispettarsi e di conoscere la cultura delle persone, permettendo loro di vivere come desiderano ma presentandosi come una società forte in modo da consentire un’esistenza globale».

Il lavoro che vediamo oggi in un certo senso rappresenta anche il punto di arrivo del tuo viaggio. Avendo iniziato dall’arte figurativa, oggi abbiamo questo meraviglioso esempio di arte astratta. Come è avvenuta questa evoluzione?
«Ho passato molti anni nel mio studio prima di esporre, alla ricerca della mia linea individuale, colore, identità all’interno della pittura e del disegno. Per dipingere figurativamente credo serva essere capaci di dipingere in maniera ”astratta”. Oggi dipingo astratto con un nuovo significato, essendo questi dipinti realistici. Sento che i miei dipinti oggi non sono fatti di figurativo ma di vita. L’energia, l’informazione, il colore, la forma e le dinamiche – tutto ciò che vedo nella mia realtà».

I tuoi progetti sono mossi da un profondo desiderio di sperimentazione, sia di soggetti che di materiali. Dove ritrovi le tue fonti di ispirazione?
«Quando inizio un progetto mi pongo molte domande sulla direzione che voglio prendere. Alcune rientrano nel dominio della ricerca che si trova nei libri e altre in quella dei materiali. Ad un certo punto le due direzioni confluiscono, dando una risposta alla mia domanda originale. Per creare After the Tribes ho raccolto sabbia, terra, conchiglie da tutto Israele; le pietre semi-preziose dei pettorali appartenenti una volta ai sacerdoti; parallelamente ricercando la Bibbia come per il tema delle 12 tribù; e volendo portare la storia alla luce con i materiali che ho raccolto.Gli antichi maestri macinavano gli ossidi per creare i loro pigmenti nei loro atelier. L’idea di macinare la materia l’ho presa da questa conoscenza. Il modo in cui dipingo arriva dopo molti anni di apprendimento, e non riguarda solo ma anche il modo in cui gli antichi pittori erano soliti fare e scovando molti dei loro dipinti personalmente. Ho imparato da ciascuno di loro».

Progetti per il futuro?
«Ogni progetto mi permette di apprendere e di crescere, per cui sarei più che contenta di continuare. A questo lavoro sono state proposte – immediatamente dopo l’inaugurazione – diverse destinazioni verso cui viaggiare, e io sono molto eccitata e onorata per questo». 

Fino al 31 dicembre, Museo Boncompagni Ludovisi, Roma

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