Sarah Sze, Centrifuge

Il critico russo Viktor Borisovič Šklovskij sosteneva che l’arte è un processo di estraniamento che si raggiunge dando a oggetti della vita quotidiana un nuovo utilizzo e quindi un nuovo significato. Proprio questo aspetto si ritrova nell’istallazione Centrifuge dell’artista statunitense Sarah Sze al museo d’arte contemporanea Haus der Kunst a Monaco di Baviera. L’istallazione, visitabile fino al 12 agosto, è stata concepita per il progetto Der Öffentlichkeit-Von den Freunden Haus der Kunst ovvero Al pubblico, dagli amici dell’Haus der Kunst, ideato dallo stesso museo a partire dal 2012. Ogni anno viene commissionato a un artista internazionale l’allestimento di un’istallazione posizionata all’ingresso dello spazio museale.

L’idea dietro il progetto è sensibilizzare l’attenzione pubblica su cosa voglia dire agire all’interno di un ambiente e indagare il rapporto che si instaura tra il pubblico e il museo. In questa cornice nasce Centrifuge. L’artista è solita lavorare con materiali di uso comune appartenenti alla vita quotidiana come cavi, scatole, fotografie e molto altro per realizzare delle sculture complesse, nelle quali le forme mutano e spingono così lo spettatore a sviluppare un punto di vista interattivo, motivandolo a rimanere sempre vigile ai cambiamenti che l’opera crea nel suo ambiente.

L’istallazione è posizionata nella sala centrale del museo attraverso la quale ogni visitatore deve passare per accedere agli altri spazi espositivi. Centrifuge invita quindi lo spettatore a entrare nel microcosmo realizzato dall’artista tramite il fascio di luci che l’opera emana. La struttura consiste in un’impalcatura metallica formata da diversi proiettori, immagini appese, pezzi di carta e scatole di sale. Tutti gli oggetti sono organizzati in gruppi scultorei che insieme restituiscono l’unità del complesso. Lo spettatore potrà scegliere di focalizzarsi su ogni singolo dettaglio, ben esposto, oppure sull’impatto che l’unità dell’opera suscita in lui e sullo spazio.

Oggetti comuni assumono una nuova funzione e provocano, proprio come scriveva Šklovskij, nel fruitore quell’effetto di estraniamento e di stupore dato dalla visione di un oggetto di uso comune, come ad esempio una scatola di sale, che viene però decontestualizzato e privato del suo significato originale. L’opera richiede perciò la partecipazione dello spettatore, al quale viene chiesto di mettere da parte i suoi schemi interiori e percettivi, per riscoprirli nuovamente. Dalla struttura si diramano luci, riflessi e giochi di ombre che si proiettano lungo tutto lo spazio circostante, le luci ruotano e creano nuove figure sulle pareti proprio come una centrifuga. Lo spettatore deve quindi confrontarsi non solo con l’opera stessa ma con i cambiamenti che provoca all’interno dello spazio in cui si trova e con la propria percezione. La struttura rende chi guarda partecipe e fa sì che l’opera lo trascini come in un vortice nella sua realtà.

Sze ha esposto nei più grandi musei del mondo, come il MoMa e il Guggenheim Museum a New York o al Museum of Modern Art di Los Angeles. Nel 1999, nel 2013 e nel 2015 ha partecipato alla Biennale di Venezia e nel 2013 le fu affidato il compito di rappresentare il suo paese, allestendo così il pavillion destinato agli Stati Uniti. Quella di Venezia non è la sola biennale alla quale Sze ha partecipato, si aggiungono Berlino (1998), San Paolo (2002), Liverpool (2008), Lione (2009) e Guangzou (2015).

Fino al 12 agosto 2018; Haus der Kunst, Prinzenregentenstraße 1, Monaco di Baviera; info: https://hausderkunst.de

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