È sempre stata lì, imponente scenografia nella grande Aula Magna della città universitaria, L’Italia tra le Arti e le Scienze. 140 mq realizzati da Mario Sironi, in poco più di 60 giorni, per l’inaugurazione della Nuova Città Universitaria nell’ottobre del 1935. Emblema stilistico e iconografico del regime fascista, nel corso degli anni ha goduto di fama e di gloria, ha resistito all’occultamento, ceduto alla censura e sfidato le critiche. Ma grazie alla passione e l’intelligenza di pochi e, di certo anche alla sorte, non ha mai perso il suo posto. Il lavoro rimesso a nuovo dopo un restauro completato negli ultimi mesi del 2017, finalmente si può ammirare nel splendore originario.
Commissionato direttamente da Benito Mussolini nel 1933, su suggerimento del progettista Piacentini estimatore della capacità unica del Sironi nel dialogare con l’architettura, fu il primo lavoro per la decorazione del nuovo Ateneo, seguito a breve dalla famigerata statua della Minerva di Arturo Martini. L’artista mette mano all’opera però solo nel luglio del 1935. Poco più di due mesi di lavoro realizzativo preceduti in laboratorio da quasi due anni di bozzetti. Con la caduta del Fascismo nel 1944 l’opera scompare alla vista, nascosta da teli di carta da parati. Alla riapertura dell’Ateneo nel 1947 il Rettore nomina una prima commissione di esperti per decidere la degna sostituzione dell’opera. Tolto il rivestimento la proposta è il mantenimento del murale per il suo valore storico-artistico. La proposta però viene bocciata e in attesa di una nuova l’opera viene ricoperta nuovamente da carta da parati. Tre anni dopo, nel 1950, viene nominata una seconda commissione ristretta che ripropone la conservazione dell’affresco ma con precise modifiche di censura. L’incarico di eliminare ogni segno stilistico e rimando strutturale al vecchio regime viene affidato a Carlo Siviero artista meno noto dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Da quel momento per ben 67 anni l’opera, ormai senza identità, è rimasta lì sotto gli occhi di tutti, tanto trascurata da divenire insignificante. In pochi infatti, partecipando ai convegni, ai concerti dell’Istituzione Universitaria o alle conferenze, si rendevano conto di sedere di fronte a un capolavoro dell’arte contemporanea.
Finalmente, dopo due anni di restauro il grande affresco murale di Mario Sironi riemerge, svelato nella sua iconografia originale con una storia tutta da raccontare. In occasione della fine dei restauri e l’inaugurazione, infatti, il MLAC (Museo Laboratorio Arte Contemporanea) della Sapienza diretto da Claudio Zambianchi, ospita la mostra Sironi svelato. Il restauro del murale della Sapienza a cura di Eliana Billi e Laura D’Agostino che ne ripercorre passo dopo passo tutte le fasi. Grazie alla disponibilità degli eredi sono esposti numerosi schizzi e bozzetti che testimoniano la lunga fase ideativa da parte dell’artista. A fianco a ognuno di essi sono allestite le fotografie con i particolari del murale restaurato, scelti in modo mirato a confronto con le opere grafiche. Sono esposte inoltre per la prima volta gli scatti originali dell’opera appena ultimata fatte fare su commissione dell’artista nel 1935. Sul filo del racconto si ricostruiscono brevemente le vicende della censura e del dibattito critico affrontato negli anni Ottanta e Novanta, premessa indispensabile del lavoro di restauro appena concluso. Una specifica sezione è dedicata quindi al progetto di restauro, all’analisi della tecnica e dello stato di conservazione, alle indagini scientifiche e all’approfondimento sulle questioni di metodo fino al resoconto dell’intervento di restauro.
Ha ingannato tutti negli ultimi anni. Prima nascosto da un’enorme telo che ne riproduceva l’immagine tanto fedelmente da non essere notato e poi, solo negli ultimi tre mesi, da un telo bianco che lo celava completamente agli occhi del pubblico e non faceva altro che produrre gli interrogativi più vari. Adesso, dopo quasi 80 anni si può entrare in Aula Magna e ammirare finalmente l’originale dove i colori hanno riacquistato la vita, ogni simbolo cancellato è tornato al proprio posto e alcuni elementi prima poco chiari hanno trovato un senso profondo.
Fino al 21 gennaio; Mlac, piazzale Aldo Moro 5, Roma; Info: https://web.uniroma1.it