Alberto Sinigaglia

Direttamente dalle nostre pagine del giornale vi proponiamo un articolo pubblicato sul numero 112.

Era il momento in cui in pittura primeggiava l’impressione fugace, istantanea, unica e irripetibile, quando nacque la fotografia. Quell’immagine impressa su pellicola che sembrava dovesse mettere in contrasto con quella pittorica, mostrando la realtà oggettiva e immortalandola per sempre. Una distinzione, questa tra pittura e fotografia, che nel tempo ha visto i suoi confini farsi sempre più labili e impercettibili. Così come quelli fra realtà e finzione, di cui la fotografia e l’arte sembravano dover essere i corrispondenti biunivoci. Sfumature di senso e di significato che la tecnologia ha reso poi sempre più impalpabili. Se qualcuno, allora, volesse cercare e tracciare un leitmotiv nel lavoro fotografico di Alberto Sinigaglia, sarebbe certamente la voglia di esplorare quei confini. Davanti agli scatti di Sinigaglia sembra che a muovere le sue dita sulla sua macchina fotografica sia più di tutto la curiosità verso ciò che è sconosciuto e inesplorato. Per scoprire poi che l’ignoto risiede proprio nelle cose che conosciamo meglio. O che crediamo di conoscere e distinguere. Lo stesso che accade con la finzione e con la realtà. È lui stesso a parlare di Microwave City come di «un progetto che indaga i confini di realtà e finzione. Confini che, come lui stesso ammette, finiscono spesso per scontrarsi, mescolarsi e fondersi. Come i colori a olio sulla tavolozza di un pittore».

Clouds, il ciclo da cui è tratta la foto esposta tra le opere finaliste del Talent Prize, non è che un capitolo di Microwave City e quella foto non è che una sola pagina di quel capitolo. Ma come una sola frase all’interno di un romanzo, ha di per sé la forza di esistere anche da sola. Una nuvola rosa che galleggia in un cielo dal colore improbabilmente verosimile, con una pesantezza volumetrica solitamente estranea a quella di una nube. Al primo sguardo, richiama alla memoria le nuvole di Berndnaut Smilde, un altro artista abile nel giocare con realtà e finzione fino a rendere tutto illusorio e surreale. «Sicuramente sono immagini esteticamente molto forti – spiega Sinigaglia – che stanno in piedi da sole. Ma soprattutto affascinano chi le guarda al punto da spingerlo a porsi delle domande, a chiederti cosa c’è sotto». E sotto cosa c’è? «C’è un viaggio tra il New Mexico e la California, tra l’Arizona e il Nevada, passando per i famosi laghi di uranio». È davanti a quelle vecchie miniere ricoperte con lastre di cemento armato che Sinigaglia ha iniziato a interessarsi al tema a cui è dedicato il progetto, la bomba atomica. Alla base non c’è denuncia politica o sociale, e nemmeno la voglia di riportare alla memoria collettiva un evento storico. «Di solito – spiega l’artista – parto da un luogo e da un tema storico, ma soprattutto da immagini molto potenti e ben radicate nel nostro immaginario culturale, come, appunto, la bomba atomica». Eppure, il soggetto non è mai presente, almeno, non per come lo conosciamo. «Le mie nuvole sono souvenir».

BIO
1984
Alberto nasce a Vicenza il 10 febbraio

2004
Inizia gli studi presso l’Istuto Universitario di Architettura di Venezia

2013
Espone insieme ad altri artisti alla Triennale di Milano per L’architettura nel mondo, infrastrutture, mobilità, Nuovi Paesaggi

2015
Inaugura la sua prima personale con Big Sky Hunting alla Galleria Metronom di Modena

2017
È finalista del Talent Prize e vincitore del Premio Combat 

Info: albertosinigaglia.net

CLOUD#TEAPOT
La fotografia presentata da Alberto Sinigaglia al Talent Prize 2017 è Cloud#Teapot, un’immagine che raffigura una nuvola rosa che si staglia su un cielo dello stesso colore. Il lavoro fa parte della serie Clouds, che si ispira all’attrazione turistica di Las Vegas diffusa negli anni ‘50 e ’60 di osservare dalle terrazze degli hotel i test nucleari delle bombe condotti nel deserto. I turisti, allora, erano soliti fotografare queste scene, trasformandole in souvenir dei loro momenti di ozio, privandoli completamente della loro carica drammatica. La serie si inserisce nel progetto più ampio Microwave City realizzato a Las Vegas, luogo per sua stessa natura fondato sull’apparenza e sulla costante fusione di realtà e artificio.