Bajo al cielo de la boca

Entrare nello spazio di Albumarte e trovarsi a contatto con una atmosfera di primordiale profondità. Questo è l’effetto del lavoro di Ora (bajo al cielo de la boca) la prima personale italiana dell’artista spagnolo Juan Zamora (Madrid, 1982) con la cura di Paola Ugolini e in collaborazione con la Real Academia de España di Roma. Una mostra che prende corpo da una esperienza pregressa, ovvero la residenza dell’artista alla Nirox Foundation di Johannesburg.

Un luogo senza tempo, dove l’uomo mosse i primi passi nella propria evoluzione e dove l’artista trova terreno fertile per lo sviluppo della propria poetica, iniziando da quello che è il punto di partenza di ogni civiltà e società: il linguaggio. Attraverso alcuni studi in loco e con l’ausilio di approfondimenti nel Museo Nacional y Centro de Investigaciόn de Altamira, l’artista reinterpreta in modo simbolico quello che sembra essere stato il primo modo di comunicare dell’Homo Sapiens, la produzione gutturale e palatale di alcuni suoni della natura, in particolare modo il cadere della pioggia. Nasce così una correlazione articolata fra il parlare e il luogo della sua provenienza, la bocca, con una dimensione sacrale, in cui la parola stessa ”ora” riconduce al latino, pregare e al farlo in un contesto sacro come da sempre sono i luoghi adibiti, come chiese e templi. Nella seconda parte de titolo, cielo può difatti essere tradotto come ”palato”.

La galleria diviene il tempio di una preghiera sciamanica non tanto verso una divinità, quanto a secoli di evoluzione antropologica, nella purezza di un percorso altamente simbolico attraverso i quattro elementi: si comincia con opere dedicate all’elemento fuoco e, di conseguenza, alla luce: «Ho ritenuto ovvio – spiega Juan Zamora – partire dal fuoco e dall’elemento primordiale della luce, in quanto emblema dell’inizio, del giorno che nasce, mentre l’acqua è l’elemento che preferisco. Siamo composti principalmente di acqua ma anche molte culture e religioni lo identificano con l’anima. Nella bocca, per parlare c’è bisogno di acqua, la saliva, e quindi trovo che sia tutto collegato». A riprova di tutto ciò, i primi passi li si fanno con le opere Sun e Black Sun, ma anche altre dove i temi del sole e dell’inizio primordiale si trovano interpretati attraverso sia matite e acquerelli e opere create con aculei di istrice e piume di volatili. Il secondo passaggio, fondamentale, lo si fa in quella che viene allestita come un luogo sacro. Con una grande suggestione, in uno spazio più racchiuso, l’acqua proietta la propria ombra sul soffitto sopra di sé, traducendo in opera sia quello stesso sistema complesso di collegamenti tra i concetti di bocca, parola, sacralità e linguaggio ma anche il titolo stesso della mostra.

Emblematica in questo senso l’opera The Homo Sapiens Garden, che rappresenta l’elemento terra: una installazione in cui un teschio, poggiato su una pietra, lascia che dalla propria bocca e palato cresca una pianta, così come allo stesso modo, i primi uomini lasciarono fiorire i suoni, le preghiere e le parole. Con uno stile semplice ma con una accurata preparazione alle spalle Juan Zamora, al pari di un archeologo, stupisce il pubblico, compreso quello italiano che, a detta sua, sembra gradire,  e si pone come un artista da tenere senz’altro sott’occhio.

Fino al al 20 gennaio 2018; Albumarte, via Flaminia 122, Roma; info: www.albumarte.org

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