Il Manifesto Marini

I suoni delle lingue si chiamano foni e fonemi. I grafemi sono invece i segni grafici che rappresentano questi suoni. Tutto questo compone il sistema di scrittura comunemente noto come alfabeto. La fonetica e la grafologia sono scienze complesse che hanno un impatto significativo su tutti gli essere umani, perché alla fine stiamo parlando di quei segni e di quei suoni che ci permettono di capirci e dunque di vivere. La ricerca artistica di Lorenzo Marini parte da qui, dallo strumento che ci consente di comunicare, di tramettere la conoscenza e il sapere. Questo mi sembra sufficiente a far comprendere che trattasi di un tema al contempo affascinante e audace. In termini artistici i riferimenti principali del lavoro di Marini a mio avviso hanno due capisaldi. Il ready made di Marcel Duchamp cioè l’arte già fatta, quella che non vediamo ma che sta dappertutto e che il saperla cogliere è soltanto una questione di prospettiva. E poi certamente la Pop art di Andy Warhol. Infine vi è un indubbio riferimento al Futurismo. Ma andiamo con ordine. Marini è un artista ma è anche un pubblicitario. Questo gli consente di avere uno sguardo privilegiato sulle attività quotidiane e sugli strumenti che servono a comunicare esigenze e risposte, domanda e offerta. Il manifesto per la liberazione dell’alfabeto è un’intuizione originale, l’utilizzo della declinazione artistica per attrarre l’attenzione su uno strumento di uso comune, sulle sue mille declinazioni, sulla sua bellezza che è sotto gli occhi di tutti ma che non tutti riescono subito a cogliere.

Duchampianamente, Marini ci invita a guardare con maggiore attenzione alle lettere, a come sono nate, alle loro trasformazioni, alle declinazioni stilistiche e concettuali che se ne fanno. Ci invita soprattutto ad ammirarne la bellezza, come scelta intima, come momento di introspezione. «Ci esprimiamo con le parole – dice Marini – cerchiamo dunque di conoscerle e apprezzarle meglio». La parte Pop invece risiede proprio nell’essenza di quel movimento partito negli anni ’60, dove la sigla derivante da popular andava intesa non tanto come famosa ma piuttosto come “per tutti”, per il popolo. Warhol che era pure un celebre pubblicitario ha cambiato la storia dell’arte e influenzato fortemente la sua epoca perché con il concetto della replicabilità delle opere ha voluto dire che l’arte deve arrivare dappertutto e a chiunque, non solo alle élite. Marini a modo suo va in questo solco. In epoca di globalizzazione e di connessione perenne l’alfabeto, che è l’architrave sul quale poggia la comunicazione, accresce a dismisura il suo valore e proprio per questo deve essere compreso e ammirato di più. Marini in altri termini ci chiede di soffermarci su una cosa che abbiamo tutti i giorni sotto i polpastrelli quando pestiamo le nostre tastiere. Ci chiede di guardare al senso delle parole e quindi di fare introspezione, di ammirare estaticamente i segreti dei diversi font e di riflettere su ciò che diciamo e scriviamo. In questo colgo la grande innovazione del progetto di Marini. Infine il riferimento al Futurismo. Innanzitutto il parallelismo con il Manifesto che, come fu per Marinetti, è un invito alla lotta di liberazione dell’alfabeto e alla compartecipazione. Certo con minore aggressività e per fortuna senza gli estremismi di quello scritto, ma anche Marini come Marinetti invita a correre e ad andare avanti con gioia, a cavalcare il progresso, lo sviluppo digitale, le nuove frontiere della comunicazione. Insomma, Marini spinge tutti ad andare verso un nuovo mondo, ad affrontare il futuro con la consapevolezza che deriva dalla socratica conoscenza di noi stessi e del bello che ci circonda. Per queste ragioni il Manifesto Marini è una di quelle cose in grado di segnare un’epoca.