Il titolo della collettiva alla Monnaie di Parigi omaggia Womanhouse di Miriam Schapiro e Judy Chicago, due direttrici di un programma d’arte femminile in California che, nel 1972, trovandosi sprovviste di un luogo dove dispensare i corsi, convincono il proprietario di una casa di Hollywood, destinata alla demolizione, a prestare loro la struttura. Un video dell’epoca che riprende le sedute collettive di lavoro all’interno della casa apre eloquentemente la mostra di Parigi, chiarendone da subito il messaggio: anche i limoni più aspri possono diventare limonata, la casa, spesso prigione per la donna, può diventare spazio di creazione.
Women House è facile da attraversare, divisa com’è in otto sezioni che chiariscono otto diversi punti di vista sull’argomento. La prima di queste sezioni, Desperates housewives, mostra con ironia gli stereotipi legati alla vita borghese degli anni ‘70. Le casalinghe soggetto delle opere, compiendo le azioni ripetitive dello stirare o del cucinare, sollevano il velo di maya della promessa felicità coniugale e mostrano la miseria delle occupazioni quotidiane. Assume un tono diverso la seconda parte della rassegna, incentrata sui limiti fisici e psicologici della casa. Emblematica qui è l’opera dell’austriaca Birgit Jürgenssen che si immortala schiacciata contro un vetro sul quale è scritto: Voglio uscire da qui!
La mostra non è avara di riferimenti letterari, la sezione tre, Una stanza tutta per sé, riprende il tema dell’omonimo romanzo di Virginia Woolf che incoraggia le donne a trovare una camera propria dove potersi chiudere a chiave per creare o anche solo per isolarsi. Ancora, la sezione di seguito, Casa di bambola, cita il dramma di Henrik Ibsen e offre allo sguardo del fruitore una serie di inquietanti miniature che narrano oppressioni, abusi e violenze.
Si procede con Impronte, dove le opere assemblate raccontano assenze di corpi e di luoghi che lasciano, malgrado tutto, delle tracce. Mentre, occorre andare fino al capitolo sei, Costruire è costruirsi, per incontrare l’unica artista italiana in mostra, Carla Accardi con una grande tenda rosa, simbolo della vita libera, fuori dalle strutture sociali, ma la cui dimensione imponente, lungi dal suggerire l’idea di nomadismo, evoca una monumentalità quasi sacra. Seguendo la stessa scia tematica, il capitolo sette, Case-mobili, incentrato sui temi del vagabondaggio, dell’esilio, ma anche sulla mobilità in senso positivo e sull’evasione.
Per la sezione di chiusura, le due fuoriclasse dell’arte contemporanea francese al femminile, Niki de Saint Phalle con le sue Nana-casa e Louise Bourgeois alla quale è anche riservato lo spazio più scenico del museo, il grande salone dove troneggia un ragno gigante, metafora della madre protettrice, col ventre colmo di uova, di vita. Altre opere monumentali sono installate nei cortili esterni come a mostrare l’intento di occupare con esse l’architettura e lo spazio pubblico da sempre maschili, opposti allo spazio domestico esclusivamente femminile. La casa è donna, infatti, si dice, come si trattasse di una fatalità. Invece, è solo un binomio storico, cui non corrisponde alcun portato biologico. Su questo le opere in mostra ci spingono a riflettere e a vegliare.
Fino al 28 gennaio; La Monnaie, 11 quai de Conti 75006, Parigi; info: www.monnaiedeparis.fr