Le opere abissali di Alberto Recchi

New York

Il 3 agosto di un anno fa inaugurava alla Galleria Ca’d’Oro di New York la mostra Sexy Shark di Alberto Luca Recchi. Un opening che ha attirato l’attenzione di moltissimi newyorkesi, curiosi di scoprire questo artista-esploratore italiano, la cui affascinante storia è immersa nei fondali più scuri e misteriosi del globo. Si è trattato di una mostra autobiografica, in cui Recchi ha sprigionato la sua creatività, unita al suo background marino, e ha esorcizzato la paura degli squali, tirandone fuori un ritratto fantasioso e bizzarro. Insomma è stata un’occhiata nella profondità degli Oceani e un’occhiata nella profondità dell’immaginazione di Recchi.

La mostra era divisa in tre parti, assimilabili a tre fasi mentali dell’autore e a tre periodi della sua vita: ”The Glory Days – I corpi (gli anni ‘80)”, ”New Millennium – La Mente (l’inizio secolo)” e ”Today – L’Anima (i nostri giorni)”. Ognuna delle quali dedicata a un modo diverso di osservare queste straordinarie e controverse creature marine.

L’interesse che il pubblico gli ha dedicato è stato la conferma che il mare, con le creature che lo popolano, continua a rappresentare una grande fonte di ispirazione e un motivo di attrazione, grazie alla sua indole così intrisa di emotività: è immenso, profondo, romantico, misterioso, subdolo, spettacolare, ignoto e potente. Tutte sensazioni che Recchi riesce a sintetizzare magistralmente nei suoi scatti, senza tralasciare anche una vena ironica e briosa.

I newyorkesi hanno dimostrato di apprezzare molto questa poetica. Un dato, questo, che è dimostrato, come sempre avviene, dal successo della mostra: i prezzi a cui Recchi ha venduto le opere andavano dai 3 mila dollari per i piccoli 70×30 cm, ai 10 mila dollari per i 150×240 cm, fino ai 50 mila dollari per l’opera simbolo della mostra, il Sexy Shark appunto, una monumentale combinazione di fotografia e scultura in silicone, che, in perfetto stile Pop e Icon, rappresenta uno squalo a colori in movimento con delle suadenti labbra femminili applicate sulla bocca e delle ciglia sugli occhi. L’opera, un pezzo unico, è stata venduta a un collezionista statunitense, che l’ha portata nella sua casa-museo nel Vermont.

Non è stata la prima volta che gli squali di Recchi hanno riscosso tanta approvazione. Nei primi anni 2000 la sua mostra Squali al Palazzo delle Esposizioni registrò oltre 300mila presenze e sempre agli squali ha dedicato  uno spettacolo portato al Teatro Sistina. Il suo modo di rivelare al mondo le sue scoperte nei fondali del mare continua a suggestionare e convincere. E chissà in quali altre città del mondo riuscirà ad approdare con le sue opere e le sue fantastiche intuizioni. Ma dovunque arriverà, è presumibile ritenere che riuscirà a presentarsi sempre con quella spontaneità che contraddistingue la sua dialettica e, da sempre, il suo lavoro così appassionato: «Entrare sott’acqua vuol dire entrare in un mondo in cui siamo indifesi e lenti. Anche una tartaruga – spiega Recchi – è più veloce di un olimpionico. E dobbiamo mettere in conto che in mare non siamo sempre predatori, ma possiamo diventare prede. Quando arrivo tra gli squali cerco di unirmi a loro in punta di piedi. Sono immobile per un po’ e li guardo muoversi agitati. Solo quando si sono abituati a me comincio a muovermi anch’io e a fare il mio lavoro».