Le opere di Claes Oldenburg sono piuttosto riconoscibili. Grandi sculture pop dall’apparenza soffice, rappresentano i più comuni prodotti di consumo: gelati, hot-dog, patatine. La ricerca artistica di Oldenburg è infatti stata improntata sulla critica del consumismo della società americana focalizzata soprattutto sull’alimentazione. Una critica culminata nel 1961 con la decisione di aprire un negozio, all’interno dello studio in cui lavorava sul Lower East Side di Manhattan, battezzato The Store in cui l’artista esponeva le sue opere come vera e propria merce da acquistare. In una società in cui tutto è in vendita, anche beni primari come cibi sono
ridotti a prodotti commerciali. «Quindi – spiegò Oldenburg dopo l’apertura dello spazio – perché non comprare un BigSandwich per 149.98 dollari?». Esposti sugli scaffali come merci uova fritte, hamburger, fette di torta ma anche vestiti, giacche da uomo e lingerie femminile, oggetti accatastati o appesi alle pareti e al soffitto. L’artista realizzava queste sculture in gesso dipinto e su scale diverse, traendo ispirazione da oggetti che vedeva intorno a sé, soprattutto nelle vetrine dei negozi dei suoi vicini. L’iniziativa venne presentata alla galleria Martha Jackson di New York ma si svolse poi interamente nello studio/negozio di Oldenburg. Il paradosso fu che gli oggetti vennero quasi tutti venduti, anche a un prezzo molto alto e l’artista riuscì così a eludere la tradizionale vendita all’interno di uno spazio deputato, come una galleria. Per pubblicizzare questa azione, Oldenburg creò biglietti da visita ad hoc, volantini e una serie di manifesti, realizzati sulla base di alcuni poster visti nel quartiere portoricano di New York e conservati oggi nella collezione Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen di New York. Un’operazione di marketing in piena regola che può anche essere considerata uno dei primi esempi di auto-promozione artistica. Dopo questo progetto, l’artista continuò a realizzare queste sculture fino al 1963: «Per tutti gli oggetti commerciali visti nei negozi – spiegava l’artista – ho sviluppato un profondo affetto, tanto che deciso di imitarli».