Jonas Burgert al Mambo

”Le allegorie sono nel regno del pensiero quel che sono le rovine nel regno delle cose” scriveva Walter Benjamin. Il concetto sembra pertinente una volta catturati e attraversati dall’immaginario dell’artista tedesco Jonas Burgert, classe 1969. Per la prima volta in Italia è in corso al Mambo di Bologna una sua mostra monografica. Curata da Laura Carlini Fanfogna, la personale raccoglie 38 dipinti a olio su tela, sia di grandi dimensioni che di medio formato; produzione recente dell’artista esposta nella grande sala delle ciminiere al piano terra del museo.

Non di rado, nei lavori di Burgert compare lo scandaglio, uno strumento composto da un filo flessibile terminante in un peso, utilizzato a terra per misurare la perpendicolarità o in mare per sondare la profondità delle acque. La presenza di questo strumento, spiega la curatrice nel catalogo che accompagna la mostra, riflette l’attitudine nella pratica di Burger a scandagliare il reale in una personale ricerca spirituale senza sosta. Così – facendo leva proprio sulla propenzione dell’artista a sondare la realtà in modo compulsive – è stato scelto il titolo della mostra: Lotsucht / Scandagliodipendenza.

Le pitture di Burgerst si caratterizzano per il forte impatto visivo suggerito da contrasti e associazioni, dovuto tanto dalla scelta dei soggetti quanto alle energiche e peculiari selezioni cromatiche. Il colore, utilizzato in maniera non naturalistica, è uno degli elementi che contraddistingue maggiormente il suo lavoro. Davanti alle sue tele, dove lo spazio è organizzato sapientemente, lo sguardo viene catturato inizialmente dai colori acidi e brillanti, quasi luminescenti, favorendo la mimetizzazione del soggetto nel tutto, ed è solo in un secondo momento che lo sguardo coglie gli abitanti di questi scenari surreali. I suoi dipinti sono mescolanze tra un mondo reale e uno macabro, immaginario dove il colore e le figure si stratificano sulla tela suggerendo molteplici livelli interpretativi: da una lettura di carattere socio-economico a una in chiave antropologica.

Le grandi tele, alcune monumentali formate anche da più pannelli, si caratterizzano per la caotica complessità compositiva. Risulta evidente che l’artista è mosso da un impeto selvaggio e passionale per la creazione degli scenari confusi e sconcertanti. Nonostante la sensazione di quiete sia predominante, le tele sembrano immortalare momenti dove un dramma, una catastrofe si è da poco consumata; in un intreccio di segni, le ambientazioni sono sovrappopolate di corpi aggrovigliati in pose inconsuete, quasi animalesche, con occhi sbarrati, sguardi penetranti o assenti. Si tratta di ”eventi dove convivono devastazione e fecondità dove erompono allegorie e visioni ipnotiche che – come ben spiega la curatrice– rifiutiamo di riconoscere come reali”, ma piuttosto le releghiamo al mondo dei sogni più oscuri. Le scene appaiono ambientate in capannoni industriali o salotti poco accoglienti dagli arredi logori, all’interno dei quali i soggetti sembrano compiere riti tribali, indossano stracci, bende o bizzarri copricapi, sorreggono particolari oggetti rituali o vagano disorientati.

A singoli soggetti, invece, sono dedicate le tele di medio e piccolo formato dove busti o intere figure, spesso femminili, emergono prepotentemente da un fondo buio. Anche a queste figure non manca certo l’eleganza e la potenza espressiva. Numerose fonti letterarie e iconografiche stimolano l’immaginazione dell’artista e in alcuni casi il riferimento peregrina verso l’immaginario dei maestri del passato (da Bosh a Füssli e Blake, da Watteau a Ensor e Kubin… ) o a eventi sociali contemporanei, più facilmente riconoscibili. Più in generale si tratta di suggestioni provenienti dalla tradizione classica occidentale, da culture ancestrali e cronache di guerra o di pace.

Diversi sono gli elementi ricorrenti dalla forte connotazione simbolica presenti nei suoi lavori: strisce, nastri, texture, teschi e bastoni. Anche l’elemento vegetale è una costante: ora un fiore, ora un ramo con fronde irrompe nella scena, come a creare un contrappunto visivo e concettuale. Tutto questo spettacolo disteso sulla tela, produce allo stesso tempo sia attrazione, sia irrequietezza nello spettatore che si ritrova assolutamente smarrito davanti al caos semantico, ai continui rimandi da un angolo all’altro della tela, dove le associazioni di senso riescono a suggerire velocemente diversi sentimenti ed emozioni al di là delle diverse culture ed epoche. Pertinenti le parole della curatrice: ”I dipinti di Brugrt hanno il potere di portare in superficie le nostre paure ancestrali e di assorbirle per liberarcene”.

Fino al 17 aprile; Mambo,Via Don Minzoni 14, Bologna; info: www.mambo-bologna.org

 

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