L’Osservatorio Innovazione Digitale dei Beni e Attività Culturali, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano ha presentato il suo rapporto sul legame fra comunicazione digitale e musei italiani. Il campione preso in analisi conta 476 musei italiani, pari a circa il 10% dei musei aperti al pubblico nel 2015. Nel 2016 risulta che il 52% dei musei possiede almeno un account sui social network; solamente il 13% è presente nei tre più diffusi, Facebook, Twitter e Instagram. La maggiore presenza si rileva su Facebook, infatti anche il 10% dei musei, che non ha un sito Internet, risulta però attivo su questo social network.
Se contiamo i numeri sui social network il Maxxi, nel campione preso in esame, rimane sempre nelle prime tre posizioni. I musei italiani con più fan su Facebook sono infatti, nell’ordine Musei Vaticani, seguiti dalla Reggia de La Venaria Reale e il Maxxi. Mentre su Twitter la prima posizione spetta al profilo dei Musei in Comune di Roma, il Maxxi al secondo posto e il Museo del Novecento di Milano al terzo; diversa la situazione su Instagram che vede sul podio il Guggenheim di Venezia, seguito dalla Triennale di Milano e sul gradino più basso di nuovo il museo romano.
Ma non è tutto oro nel rapporto. Dall’analisi si scopre infatti che solo il 57 per cento dei musei italiani ha un sito internet; il 41 per cento utilizza un account social network, il 25 per cento la newsletter, solo il 19 per cento offre una connessone wi-fi gratuita e servizi come Qr code sono utilizzati dal 14 per cento delle istituzioni.
«La prima sfida – dice Michela Arnaboldi, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali – è legata alle risorse umane e alle competenze: le istituzioni culturali devono dotarsi di figure nuove, ibride, che diventino interpreti “digitali” del patrimonio, ossia di persone che conoscano il patrimonio, il suo valore, ma che al contempo siano in grado di valutare le opportunità offerte dal digitale. La seconda sarà rendere i progetti innovativi sostenibili economicamente sul medio e lungo periodo, magari attraverso nuovi modelli di business in grado di trarre risorse finanziarie proprio dai servizi abilitati dalla tecnologia. Un ambito su cui riflettere e investigare è infine il valore per il territorio, non ridotto alle misure più tradizionali di indotto economico, ma esteso alla funzione che le organizzazioni culturali possono avere per rivitalizzare aree dimenticate, o come luogo di confronto per i cittadini nuovi e vecchi».