Parasite 2.0 da Operativa

Esiste un’area poco edificata fra l’arte e l’architettura, una distanza fatta di sfumature separa le due discipline; in mezzo il deserto. Sotto il sole, sulla sabbia, i primi a saggiare secchezza e potenzialità del campo sono stati i gruppi di architettura radicale. Con passi prima claudicanti e poi più fermi Superstudio e Archizoom hanno provato a ricucire quello che prima era un’unica cosa, a tracciare un cammino arte-architettura, andata e ritorno. Per un po’ ha funzionato, sul deserto nascevano i primi accampamenti, si scoprivano le oasi e si dormiva all’ombra di ziggourat. Poi è arrivato il vento e dopo il vento la tempesta e il deserto è tornato deserto. Per ventenni la sabbia è rimasta l’unico ospite di quello che rimaneva ancora in piedi, mentre il silenzio sulla tentata impresa regalava ai gruppi radicali un immeritato oblio.

Da quelle rovine, in quel deserto, ripartono i Parasite 2.0 in mostra nella galleria Operativa arte contemporanea. Riscoprono il sentiero antico, tolgono la sabbia dalla costruzioni, rimettono in piedi gli ziggourat, provano anche loro a lavorare in quel deserto che allontana arte e architettura. «Per gli architetti – dicono – siamo artisti, per gli artisti siamo architetti». Nomadi nell’arena disabitata cercano una dimora, provano a costruirla con quello che hanno, ossa, frammenti di architettura radicale, legno e internet. Tirano su un accampamento da due stanze aperte da tre lati dipinto in blu chroma key, The domestic promised land: the desert, the net and the bones, è il titolo della mostra, la mostra è la loro casa.

Tra primitivismo e futuro i Parasite ragionano sulla dimora contemporanea, intesa come rifugio, come ambiente artificiale in contrapposizione al mondo naturale, sull’idea di protezione che cerchiamo in una casa e sopratutto sulla possibilità di alienazione che ci regala. Oltre i vetri trasparenti della galleria, la prima occhiata cade su un tubo fissato con schiuma espansa contro la parete di legno di uno dei due ambienti costruiti dal collettivo. È un tubo per l’aria condizionata, uno dei principali attori dell’isolamento che riesce a definire un ambiente climaticamente artificiale e separato da quello naturale. E poi c’è l’alienazione di internet, o del telefono, o in generale di qualsiasi dispositivo che ci separa da un contatto invitandoci a rimanere fra quattro mura.

È una dimora dove c’è tutto quella dei Parasite, dove non manca neanche quello che sembra un elogio a una delle più grandi invenzioni umane, padre di ogni alienazione: la sedia. Un trono, infatti, fatto di maioliche bianche domina tutto il secondo ambiente incorniciato da due kenzie e due neon conficcati nella schiuma espansa. Il fondo blu chroma key permette potenzialmente qualsiasi paesaggio fittizio. Un’accampamento perfetto in quel deserto e per una tale impresa, anche se forse, ancora, risente un po delle vestigia radicali spolverate dalla sabbia.

Info: www.parasiteparasite.com

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