Oops…I did it again

Oops…I did it again è il titolo di una celebre canzone di Britney Spears, ma è anche quello che potrebbe asserire Maurizio Cattelan in merito alla sua ultima opera, un wc d’oro di ben 18 carati di splendore, e per giunta perfettamente funzionante, installato in un bagno del Guggenheim di New York dopo 5 anni di mutismo artistico. Perché proprio la grande mela? Facile facile, come il titolo dell’opera, America, da considerare più impattante dell’opera stessa: si evince la volontà dell’artista di esaltare la saturazione del mercato d’oltreoceano, di quell’arte che rimbalza ovunque, che tutti vogliono fotografare, toccare, maneggiare, masticare, un’arte che diviene talvolta assordante e ridondante, esattamente come un cesso d’oro.

Certo è che se Cattelan fosse stato americano, forse oggi avrebbe fatto parte di una controcultura pari al mood degli scritti di Bukowski o del Kubrick di Eyes wide shut, o magari no, perché a Cattelan, si sa, intrinsecamente piace provocare: quando si parla di lui è impossibile non menzionare il suo ironico amore a profusione per il nostro paese della sua L.O.V.E., o i ragazzini appesi per il collo che hanno fatto perdere la testa alle mamme bigotte e moraliste, oppure quel Papa colpito e affondato come nella più spietata battaglia navale e persino ipse, proprio lui, Him, Hitler inginocchiato che ancora frutta nelle aste; allora, se si insiste sugli eccessi, in un mondo eccessivo dove ormai solo la normalità appare scioccante (Žižek docet nel suo Il trash sublime), la provocazione rischia di divenire sterile e fine a se stessa, se non che stavolta il quanto mai astuto Cattelan si salva in calcio d’angolo, il suo vello d’oro è infatti installato in un corner del tutto appropriato, che potremmo definire un vero e proprio habitat naturale: un gabinetto, o, se preferite, la toilette. Senza dubbio risulta lampante la dimestichezza e una certa propensione dell’artista per tali luoghi di culto: non a caso il nome della rivista da lui fondata è proprio Toilet Paper Magazine, chissà quindi che, con il suo dorato ritorno, non abbia trovato l’hortus conclusus della sua arte.

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