La Triennale di Milano si colora delle tinte accese dei lavori dell’artista statunitense Marcus Jansen. Ma non devono trarre in inganno le cromie brillanti, i toni saturati e vivaci a vantaggio di una poetica festosa e giubilo. Al contrario l’artista, esponente del Neoespressionismo americano, dà voce alla sua inquietudine, o per meglio dire alla sua ossessione, come lui stesso la definisce: “Penso di essere ossessionato. Non ci sono dubbi su questo. Penso che bisogna essere ossessionati, in qualche modo, se si vuole fare qualcosa davvero bene”. Nella sua biografia è chiaro che una parte di essa si stata segnata da un’esperienza che lascia ad ogni uomo una dose eterna di angoscia. Jansen è stato per molti anni soldato delle truppe di aviazione durante i conflitti nella Guerra del Golfo per poi tornare a casa e raccontare ed esorcizzare con la pittura il terrore di quei giorni. Arriva a Milano e in Italia per la prima volta ospitato alla XXI Esposizione della Triennale di Milano e sarà una lezione fertile anche per la nostra arte che guardando la sua vedrà tematiche complesse legate ai temi politici e sociali della sua terra, ma anche dal punto di vista espressivo saranno chiare le radici profonde che lo legano artisticamente alla sua terra.
Nelle soluzioni formali di Jansen è facile riconoscere la velocità del tratto mutuata dalla Street Art che ha praticato da giovanissimo unita alla libertà e violenza del pennello, delle spatole, delle spugne sulla tela, propria dei grandi maestri americani da Jackson Pollock, Willem de Kooning, Arshile Gorky. Si chiama Decade il suo progetto espositivo che riunisce i lavori degli ultimi dieci anni e che prevede tre tappe. In italia la prima, in Germania la seconda, negli Stati Uniti la terza ed ultima sessione dell’intero progetto. Nella sede di Via Alemagna, nella prestigioso Palazzo della Triennale i curatori Brooke Lynn McGowan e Rossella Farinotti hanno seguito l’artista in questo primo step espositivo che prevede l’allestimento di dodici tele di grandi dimensioni, eseguite a partire a ritroso dal 2013. Alcuni tra i lavori realizzati quest’anno riescono a sintetizzare alcuni focus della sua arte come il disincanto e la dissacrazione di certi ‘idoli’ e certezze del popolo americano di ieri e di oggi. Revolutionary Elites scimmiotta nell’iconografia la pittura pre-Guerra Civile nella soluzione stilistico-formale del soggetto, in cui è facile scorgere forse George Washington. Ma i tratti, i singoli dettagli sono assenti a vantaggio della sola silhouette del profilo, al cui centro c’è un solo segno rosso, allusivo del naso di un clown.
Ne deriva un riassunto visivo di dissacrazione e demotivazione verso la classe sociale che governa e che ha governato e che l’artista decide di affrontare anche in altre tele, nella serie dei ‘faceless’, per raccontarci come vede l’élite di chi sta sopra il popolo. Uomini privi di personalità e pensiero, ma uniti dalla sola carica di potere da esercitare senza discernimento alcuno. La dissacrazione quindi guida su tutto le iconografie delle figure di Jansen, dove si instaura un dialogo dissonante e altamente fuori asse tra chi governa e chi è governato. La corruttibilità inoltre pervade ogni suo lavoro, passando trasversalmente dall’iconografia fino allo sviluppo formale. I suoi scenari sono paesaggi desolati e devastati e Jansen gioca con scie di colore stridenti che abbracciano, avvolgono, distorcono o spezzano le forme che crea che siano palazzi, strade, persone, animali od oggetti. I contorni così si interrompono e i paesaggi urbani risultano deturpati, abbandonati, corrotti appunto. Un paesaggio urbano con poche figure ad abitarlo, presumibilmente onirico, più probabilmente frutto reale dei suoi ricordi di guerra. Lo smarrimento infine si aggiunge alla dissacrazione e alla corruttibilità. Un disorientamento che porta lo spettatore ad interrogarsi sul destino dei protagonisti dipinti sulle tele e davanti all’indubbia credibilità estetica di questo grande artista. Una donna nuda, un bambino, un maiale, un cervo persi e dispersi in non-luoghi dove sono diretti?
Fino al 21 settembre, La Triennale, Milano, Info: www.triennale.org/mostra