Premio Strega, ecco perché ci piace Albinati

Roma

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Diciamolo. Che Edoardo Albinati avrebbe vinto il 70esimo premio Strega si sapeva da giorni. Meglio, da settimane. Del resto La scuola cattolica (Rizzoli) è il miglior prodotto letterario sbarcato al Premio. Inutile girarci intorno. È così. Quella lunga – anzi lunghissima – digressione (quasi 1.300 pagine) che prende spunto dal massacro del Circeo per svelare e analizzare la violenza maschile visceralmente annidata in un contesto socio-culturale ben preciso, come quello borghese di una Roma che ancora resiste al cambio delle stagioni, è un romanzo che ti inchioda. Non racconta solo una storia e non appare neanche come un mero esercizio stilistico compiuto da uno scrittore. Ci vuole coraggio a indagare gli intrecci anche drammatici che possono prender forma in ogni apparente normalità. E riuscire poi a convincere il lettore, meglio sedurlo, senza apparire ridicolo. Retorico. Finanche inutile.

E dunque quei 143 voti strappati ai 400 amici della domenica (a mio avviso sarebbero dovuti essere molti di più) sono tutti meritati. Stavolta le polemiche che da anni accompagnano lo Strega (vincono sempre le grandi case editrici) non possono e non meritano di essere prese in considerazione. Messa in pace la coscienza, per una volta, personale e collettiva, non è comunque questa la notizia che ha accompagnato la chiusura del 70esimo premio letterario più noto d’Italia. Perché lo Strega, quest’anno ha fatto parlare di sé molto più per il ”trasloco” compiuto da quella che era divenuta la sua dimora, vale a dire il ninfeo di Villa Giulia, all’Auditorium Parco della Musica.

A riassumere i pensieri dei tanti – e sempre noti – partecipanti ci ha pensato Francesco Piccolo che dal palco della sala Sinopoli non ha usato mezzi termini: «Questa è un’edizione speciale ma basta, il premio Strega è il ninfeo». Caustico benché detto con il sorriso, il commento di Piccolo ha colpito nel segno. Tanto da riceverne in cambio un fragoroso applauso. In realtà, al netto delle posizioni assunte, il cambio di sede dello Strega ha avuto equamente un pregio e un difetto. Il merito è stato quello di ridare la giusta ”allure” al Premio. La cerimonia è tornata a essere un evento. Il palcoscenico è stato giustamente occupato dai protagonisti, dalle loro brevi presentazioni, dai ricordi che caratterizzano lo Strega, dalla sua storia. Impossibile per la platea non prestare attenzione. Oddìo, c’è stato anche qualcuno che non ne poteva più perfino tra i candidati. Elena Stancanelli (25 voti per il suo La femmina nuda, La nave di Teseo edizioni) nel bel mezzo della cerimonia ha allungato le gambe sulla poltrona di fronte. Sarà stato certamente a causa di un tacco dodici insopportabile. Tuttavia, cadute di stile a parte, alla fine, e per fortuna, è stato il premio il protagonista, e non il ninfeo, dove nelle trascorse edizionisoltanto un piccolo gruppo di addetti ai lavori, giornalisti compresi, non perdeva un solo istante della cerimonia. Unica nota dolente – e qui risiede il limite di quest’edizione – la scelta degli organizzatori di allestire ancora una volta il buffet e stavolta, per ovvie ragioni, nel foyer dell’Auditorium e neanche nella cavea, occupata dalla rassegna Luglio suona bene. In questo lo Strega non è affatto cambiato. Piatti tracotanti, riempiti fino all’orlo. Orde di invitati accalcati l’uno sull’altro per strappare un bicchiere di vino. Come se l’importante fosse, ancora una volta, soltanto mangiare.

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