La fotografa australiana Sylvè Colless racconta le metamorfosi psicologiche attraverso il nudo, più un unico ritratto drammatico e inaspettato. Colless ha iniziato a fotografare mentre studiava alla facoltà di Architettura di Sydney. Alla costante ricerca di un’estetica raffinata, oltre a diverse mostre personali la fotografa australiana ha all’attivo collaborazioni commerciali con Harpers Bazaar, Vogue, Elle and Russh. Dopo due mostre personali in Australia, ha portato in questi giorni per la prima volta il suo lavoro negli USA, con la serie Aurelia, alla galleria Slow Culture di Los Angeles. Per raccontare la vulnerabilità femminile e l’inesorabile processo di metamorfosi che cambia corpo e mente, in Aurelia la Colless ha coinvolto modelle non professioniste e scelto ancora una volta il nudo, giocando sull’equivoco reale-irreale con figure e dettagli che emergono dallo sfondo, sfidando la percezione dell’occhio umano e ingaggiando lo spettatore in un processo catartico: la confusione al primo approccio all’opera, il chiarimento e poi il cambiamento.
Dai suoi scatti, che parlano di emozioni, fragilità e sensualità della figura femminile raccontandole attraverso i contorni del corpo e il forte chiaroscuro, emergono curve e riflessi di corpi nudi, morbidi, sospesi nel passaggio verso il cambiamento. «Sono molto interessata al concetto di catarsi, per me è un elemento potentissimo nella metamorfosi psicologica», ha raccontato in occasione della mostra. Aurelia, una serie introspettiva, comprende però uno scatto che lo spettatore non si aspetta: un autoritratto dell’artista dopo aver subito maltrattamenti dal suo partner nel 2010, di cui esibisce i segni per mostrare un atro tipo di vulnerabilità, mettendo lo spettatore davanti alla realtà dei fatti e allo stesso tempo cercando la rivisitazione pubblica del trauma. Info: www.slowculture.com
http://www.sylvecolless.com/