La verità in una fotografia non è mai data una volta per tutte. Ogni scatto è il risultato di un gioco in cui le regole sono decise tanto dalla macchina fotografica quanto da chi le sta dietro. A farne le spese è la Realtà quella con la erre maiuscola. Lo sa bene Carlo D’Orta, fotografo fiorentino classe 1955 ma romano d’adozione, così bene che si diverte a confondere le carte. Sotto la generica definizione di fotografia d’architettura D’Orta propone una riflessione sulla rappresentazione e sul filtro che la macchina inventata da Daguerre applica sul mondo che cattura. A prescindere dalle serie sotto le quali raccoglie i suoi lavori è chiara un’ossessione del fotografo nell’azzerare il piano prospettico. La profondità, conquistata con fatica nel Rinascimento, si scontra su un muro fatto di colori e geometrie taglienti che non lasciano spazio nemmeno a un respiro. La realtà allora diventa astratta in un contrasto solo apparente che conferma l’abilità dell’autore di scegliere il punto di vista giusto, l’angolo dove il gioco riesce perfetto. Franco Fontana è lì, come ispirazione, come maestro, e sembra annuire a ogni scatto.
Non saremmo in errore nel definire l’estetica di D’Orta pittorica prima che fotografica. L’incastro di linee e colori delle sue composizioni si presenta come un’eco delle avanguardie storiche, russe soprattutto. A conferma della tesi ci pensa poi un’intera serie (S)composizioni. Come da titolo le varie geometrie del lavoro vengono materializzate e riproposte davanti, accanto e sopra la fotografia. Spesso in plexiglass sono l’ennesima riprova dell’autore di aver compreso che, per dirla con le parole che lo scrittore Sergio Campailla ha messo in bocca a Cagliostro: ”La verità è una mignotta che va sedotta con la menzogna”. E il mago Cagliostro con i suoi travestimenti e cambi d’identità è la mascotte perfetta anche di lavori come Liquidance e Traslazioni che alterano pesantemente la realtà, nei colori soprattutto il primo, nelle forme soprattutto il secondo. Info: www.carlodortaarte.it