Mentre Mainetti affida a Jeeg Robot il ruolo di icona della periferia romana, Blu, un altro eroe metropolitano si fa strada dentro e fuori Bologna. In un gesto di solidarietà verso lo street artist più discusso del momento, domenica 20 marzo si sono riunite oltre 3mila persone in piazza per boicottare la mostra Street art. Banksy & Co., un’iniziativa popolare partita da facebook sulla pagina Io non partecipo alla mostra e diffusasi a macchia d’olio nelle strade.
Ma si fa presto a parlare di eroi. In realtà la vicenda ha assunto l’aspetto di un intreccio che neanche Propp riuscirebbe a sbrogliare. Se più o meno si possono considerare superate le questioni legate alla legalità degli interventi di Street art, questo episodio fa venire a galla nuove perplessità sul diritto d’autore e sulle pratiche di musealizzazione delle opere nate sulle pareti di un edificio pubblico.
Forse occorre fare un passo indietro per ripercorrere le tappe della storia e mettere nero su bianco le problematiche sollevate dal gesto dell’associazione Genus Bononiae prima, e dallo street artist dopo, entrambe violente nella loro manifestazione.
Tutto nasce da un progetto del Professor Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononiae, e di un gruppo di esperti nel campo della street art e del restauro, che, nell’intento di avviare una riflessione sulle modalità della salvaguardia, conservazione e musealizzazione dell’arte urbana, hanno deciso di riunire un ampio gruppo di opere in una grande rassegna a Palazzo Pepoli, Bologna. Fin qui nulla in contrario, se non fosse che, per inserire questi lavori all’interno della mostra, stati letteralmente staccati dagli edifici una serie di murales, in alcuni casi senza che ci fosse la certezza assoluta del consenso del loro autore. Un’operazione giustificata dagli organizzatori della mostra come volontà di salvare delle opere che sarebbero state demolite insieme alle pareti che facevano loro da supporto.
Qui nascono le prime domande, legate principalmente alla legittimità del gesto: A chi spetta una decisione del genere? Chi avrebbe dovuto autorizzare questa operazione? «Posso sicuramente dire – spiega Silvia Segnalini, avvocato e docente all’Università La Sapienza di Roma – che Blu aveva tutto il diritto di cancellare le sue opere e che qualsiasi altro aspetto andrebbe regolato contrattualmente prima di disporre delle opere stesse da parte di terzi. Ma questo presupporrebbe una disponibilità ex ante dell’artista in tal senso e un suo coinvolgimento a monte. Ed è molto difficile se non impossibile stabilire se l’artista, con il suo gesto, stia in qualche modo sollecitando proprio tale maggiore coinvolgimento a monte o al contrario se stia ancor più rivendicando un suo ruolo antisistema».
Immediata la reazione di Blu, che, in tutta risposta, decide con una passata di vernice grigia di cancellare alcuni dei suoi lavori più noti e, senza lasciare spiegazioni, affida la parola al centro sociale Wu Ming: “dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art. Tutto questo meritava una risposta”. Molti sono gli street artist che la pensano nello stesso modo. «Un contesto è un contesto. Non puoi togliere – ci racconta C215 – un’opera di street art dalla strada senza distruggela. Ci sono lavori che sono dedicati all’esposizioni e collezioni, non possono essere rubate opere d’arte dalla strada. Solo teorici pervertiti possono supportare questo genere di furti è come strappare un fiore da un campo, lo distruggi». «Chi strappa o stacca non ha potere di creare – ci dice invece Opiemme – e nei fatti neppure di conservare. Può fare promesse d’intesa. L’autore che cancella, dice e crea cancellando, prepara i fondi, le basi per future creazioni».
Se qualche tempo fa Banksy si era opposto alla musealizzazione delle sue opere, non riconoscendone la paternità, questa volta la natura della protesta è ben più violenta. Una vera e propria damnatio memoriae che rappresenta non solo un’autoprivazione ma anche la negazione della memoria storica collettiva, perché in fondo, l’arte pubblica è anche, come esprime la parola stessa, proprietà del cittadino a cui è stata donata. A questo punto nuove domande vengono spontanee: a chi appartengono le opere una volta realizzate? In materia di diritto d’autore non c’è una precisa regolamentazione per quanto riguarda la street art. È arrivato forse il momento di affrontare il discorso?
«Sono convinta personalmente – continua Segnalini – che non sia necessario un intervento legislativo ad hoc perché la legge sul diritto d’autore contiene in sé tutti gli elementi per essere adattata al singolo caso concreto».
La faccenda ha assunto negli ultimi giorni un carattere tragicomico che svela una serie di contraddizioni anche nella posizione delle istituzioni al riguardo: gli attivisti dei centri sociali che si sono offerti volontari per aiutare Blu nella cancellazione dei suoi murales sono stati denunciati. «Se disegni sui muri ti denunciano, se cancelli i disegni ti denunciano, ma solo se non fai parte del popolo delle spugnette», hanno commentato i membri del collettivo Wu Ming. «Tutti sanno – aggiunge C215 – che Blu ha un integrità teoretica e politica e tutti conoscono l’avidità di curatori e collezionisti, possiamo solo supportare Blu nella sua lotta per rendere il suo lavoro così come vuole che sia. È fantastico che i suoi lavori continuino a essere nella nostra mente. Dobbiamo sostenerlo e boicottare questa mostra. Ci siamo comunque fatti un’idea sugli artisti che accettano di stare in questa mostra: streetart opportunists». «Bologna – dice invece Opiemme, sottolineando il valore aggiunto che ha acquisito l’opera dopo questa operazione – ha guadagnato uno degli atti artistici più coraggiosi che abbia mai visto, e l’arte compenetra il quotidiano e ne tocca molti aspetti. Apre un dialogo a cui in moltissimi partecipano e fa riflettere su cosa sia oggi il potere, mentre lo rivela. Di questo Bologna sarà custode. Saprà ricordarlo, capirlo e trasmetterlo per i valori che veicola in sé? Blu ha coinvolto solo i suoi lavori, senza condannare gli artisti bolognesi che partecipano alla mostra. Eppure qualcuno di loro lo taccia di egoismo».
Se Blu abbia fatto bene o meno, ai posteri l’ardua sentenza, ma è certo che, fronte al consolidamento di un legame sempre più intenso tra istituzioni e street art, il suo gesto mette sulla tavola nuovi interrogativi che, probabilmente, per l’arte urbana era arrivato il momento di affrontare e che, forse, porteranno a ulteriori cambiamenti nel sistema artistico. Senza dubbio, però, l’unico modo che abbiamo per reagire alla negazione di un’immagine è attraverso la creazione di altre immagini, come quelle che ci ha inviato lo street artist Eron a sostegno dell’azione di Blu: «Street art you can watch, but you can’t touch».