Giovanni Oberti, Laghi di aceto

Chiunque nella vita abbia letto il racconto Candide di Voltaire ha sicuramente utilizzato alcuni minuti per chiedersi come un testo così breve possa risultare tanto ricco e intenso. L’opera narra del viaggio di un giovane ingenuo, delle sue peripezie e di quelle dei personaggi che egli incontra, affrontando con acuta ironia numerosi approcci filosofici in voga nel ‘700. Il tutto occupa circa un centinaio di pagine e l’effetto della prima lettura risulta generalmente disorientante. Proprio tale senso di smarrimento e di vaga incomprensione è quello che si può provare lasciando la mostra Laghi di aceto di Giovanni Oberti. All’arrivo, d’altronde, durante la discesa per raggiungere lo spazio sotterraneo di Tile, si riesce soltanto a percepire l’odore sempre più potente di uva macerata, quello tipico di una cantina di vini.

Proprio la scalinata d’ingresso permette al visitatore una veduta d’insieme sull’esposizione: oltre un ampio telo, in una sorta di fantasia Tai Dai, che funge da quinta teatrale, si possono scorgere le ampie pozzanghere di vino e aceto, responsabili del penetrante odore e diventate per lo più aloni cangianti nei toni dell’amaranto e del terra d’ombra. Al centro della sala fa da protagonista una canna da pesca, adattata per girare incessantemente su se stessa, impegnando gran parte del piccolo spazio espositivo e forzando i movimenti dei presenti, oltre alla loro percezione del campo visivo. Negli angoli della sala, alcune carte topografiche e frammenti di bottiglia, ricoperti da un’uniforme tinta arancio fluo, spezzano l’armonia cromatica. Ognuno di questi elementi ha un significato, fino ad averne molteplici e infiniti.

Il primo, più evidente richiamo è quello della percezione aerea su una sorta di paesaggio post-atomico, come è lo stesso artista a definirlo. Laddove il vino e l’aceto versati si mostrano come laghi contaminati accanto a un ambiente fantascientifico, stanno anche come segnali dell’incedere del tempo, quello della maturazione, costante come il ruotare della chiave appesa alla canna da pesca. Così, un paesaggio naturale s’incontra e si scontra con elementi e colori evidentemente antromorfi, come la fluorescenza tipica di situazioni di pericolo ed emergenza.

Laghi di aceto propone una quantità smisurata di interpretazioni, attivando infinite percezioni sensoriali e intellettive, tanto da creare una sensazione di fastidio e spaesamento. L’unica speranza nella ricerca di un fil rouge è quella fornita dai contributi inseriti nella tipica fanzine di accompagnamento alle mostre di Tile project space, dove tutti gli scenari offerti da Oberti si riuniscono su carta stampata. Lasciando la mostra, l’odore di aceto resta per molto e con esso resta la necessità di capire se non sia stato visto troppo, se un’istallazione così piccola possa proporre tante domande, se è come quella volta in cui era appena stata conclusa la lettura di Candide, oppure no.

Fino al 25 marzo; TILE project space, Via Garian 64, Milano; info: www.tileprojectspace.tumblr.com

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