Inaugura il 20 febbraio alla Galleria Passaggi di Pisa la personale di Tatiana Villani, Körperland, visibile fino al 16 aprile. Abbiamo intervistato in esclusiva l’artista, coinvolgendo anche la curatrice Alessandra Ioalè e la gallerista Silvana Vassallo. Körperland è progetto in progress, un percorso che Tatiana Villani porta avanti dal 2009 con una visione personale e trascendente da cui scaturiscono creature e corpi, segnati da nomadismi autobiografici e migrazioni dell’umanità.
Sei la curatrice della mostra, com’è nata la collaborazione con Tatiana?
Alessandra: «Ho conosciuto l’artista e il suo lavoro nel 2012. Al centro della sua ricerca vi è l’evoluzione psicologica dell’uomo in rapporto al cambiamento del contesto socio-culturale di riferimento, indagando quelli che sono i sintomi e le trasformazioni a cui esso è sottoposto nel corso del tempo. La sua poliedrica produzione di opere si concentra sulla trasposizione esterna, di uno spazio reale ed espositivo, di ogni aspetto di questa evoluzione, avvalendosi ogni volta di medium diversi come la fotografia, il video, la parola e il testo, e sperimentandone sempre di nuovi. La grande flessibilità e capacità di approccio multidisciplinare di Tatiana Villani, in funzione del messaggio, è ciò che sin da subito mi ha colpito facendo sì che mi interessassi del suo lavoro iniziando con lei una lunga collaborazione, culminata con la curatela del progetto Körperland».
Come si è creato questo rapporto processuale con la galleria Passaggi?
Silvana: «Come galleria sto cercando di portare avanti un lavoro in cui viene privilegiata una dimensione progettuale e di ricerca. Molte delle mostre che ho realizzato fino ad oggi nascono da incontri e scambi di idee con gli artisti. Con Villani e con Alessandra Ioalè abbiamo avviato un processo di collaborazione che si è sviluppato attraverso varie tappe: un incontro in galleria dedicato al lavoro di Tatiana Conversation pieces, seguito dalla partecipazione, nell’ottobre scorso, a un evento in ambito universitario sull’arte pubblica. Poi c’è stata la partecipazione a The Others Art Fair, dove Passaggi ha presentato una performance di Tatiana, (dis)cover, a cura di Alessandra. Apprezzo molto il lavoro di Tatiana per la sua dimensione dialogante, problematica, talvolta anche scomoda, e Körperland incarna tutte queste istanze.
Le dinamiche di cui si compone la tua arte, portano la tua produzione nella sfera dell’arte relazionale. Cosa pensi delle definizioni nell’arte, o meglio, pensi che le definizioni possano aiutare o danneggiare gli artisti?
Tatiana: «Mentre lavoro non mi attengo alle definizioni, ho un’idea e cerco di volta in volta di trovare il modo o la tecnica più adatti a rappresentarla. Questo mi ha portato spesso verso pratiche di produzione che possono essere definite relazionali, partecipative, condivise, e che hanno ogni volta sfumature differenti. È difficile esprimere pratiche effimere che proprio dal punto di vista della teorizzazione sono ancora in progress. Le definizioni granitiche, credo, siano più inutili che dannose, perché allontanano dal cuore della questione, che è fatta da sguardi attenti e tempi lunghi; sono semplificazioni che vanno accompagnate da ragionamenti, per sfuggire alla logica dello slogan. Detto questo, trovo fondamentale e stimolante il dialogo e quindi la traduzione verbale, teorica, di ciò che avviene nell’opera. La narrazione, più che la definizione, aiuta a dare spessore».
Arte e attivismo: l’arte e le azioni ad essa collegate, politiche, sociali o ecologiche, possono portare a un cambiamento effettivo nel sentire comune, secondo te?
T: «In quanto artisti ci si trova di frequente a essere additati quali possibili attori del cambiamento e sento questa come una responsabilità quasi schiacciante, mentre trovo che sia normale come essere umano sentirsi parte di un sistema sociale e avere voglia di donare qualcosa a questo sistema. Come artista visiva ciò che posso fare è provare a materializzare visioni e sperare che l’effetto farfalla produca ricadute positive. Non mi posso creare troppe aspettative, posso solo costruire dei dispositivi e osservare cosa producono, qualsiasi ulteriore preconcetto inquinerebbe troppo il risultato che deve, dal mio punto di vista, essere forgiato dalla relazione in una triangolazione, artista (a volte anche più di uno), dispositivo, fruitore/partecipante».
È il desiderio di cambiare la società a muovere la tua creatività, quello di raccontarla o semplicemente, quello di creare un’opera?
T: «È un po’ tutte queste cose: voglia di costruire con gli altri fuori dallo studio, di riflettere insieme su tematiche che condividiamo e insieme costruire un’opera; io metto a disposizione la scintilla, le mie capacità tecniche e di gestione del gruppo e ognuno dei partecipanti mette quello che si sente, o quello che ha da offrire. A volte si sviluppa come un gioco, altre volte si sviluppano legami, relazioni potenti, ci sono situazioni in cui la forza etica ed estetica dell’opera sta proprio in questa fase, così difficile da rappresentare nel suo essere effimera, “qui e ora” (come in Sewing or sowing o Metaproject); altre volte, invece, oltre alla forte componente interpersonale, si cristallizza una forma più materiale e visibile (Ho un sogno, Fuori dal trecciato). Questi progetti vedono una folta partecipazione e, come dicevo, a volte anche una co-creazione con altri artisti. Il corpo nel tuo progetto rappresenta una superficie attraversata dagli accadimenti o segnata dai fantasmi».
La componente di vissuto personale ha influenzato questa esperienza, ma anche il desiderio di raccontare. Come nasce questa particolare esigenza?
T: «Körperland nasce da un miscuglio di stimoli, in parte autobiografici e in parte osservati (consapevole che anche l’osservazione da un determinato punto di vista, in questo caso il mio, rappresenta una visione personale e allo stesso tempo trascende da essa, proprio perché filtrata attraverso l’espressione artistica). Per motivi personali o di lavoro mi sono sempre spostata molto, la mia famiglia è composita, ha abitato nel nord e nel sud dell’Italia in un momento storico in cui la differenza tra queste geografie si accompagnava a una grande differenza culturale. Da adulta poi ho vissuto e viaggiato all’estero, per curiosità e per necessità, e questi spostamenti mi hanno segnata, mi hanno portata a riflettere su una condizione che va oltre me stessa. La migrazione ha sempre accompagnato la storia dell’umanità, c’è da sempre chi si è spostato per bisogno, per sfuggire a situazioni di forte disagio e chi invece si è mosso per inseguire un desiderio. Trovo che attualmente questa seconda categoria sia diventata più preponderante, mentre in passato era rappresentata da un’elite. Ho cercato di dare forma a quest’ambiguità creando opere che contenessero entrambe le tensioni. Altra cosa importante, nella maggior parte dei casi non ho lavorato sul mio corpo (da cui è partita l’osservazione privata), ma su altri corpi, perché Körperland è un’altra terra, non la mia terra».
In Körperland è visibile l’intreccio cartografico delle tue esperienze vissute: si chiude forse con questa mostra il percorso tra continuità, discontinuità e sovrapposizioni compiuto fino ad oggi, magari per dare inizio ad altri percorsi? Oppure si tratta di un’altra tappa? E cosa c’è dopo?
T: «La mia ricerca mi accompagna come un flusso che non si interrompe, come un fiume che a volte si adagia in anse e isolette, Körperland è una di queste, piuttosto grande. Come dici tu il percorso tra continuità, discontinuità e sovrapposizioni compiuto fino ad oggi ha prodotto queste forme, ma l’acqua del processo continua a scorrere e forse domani ci saranno altri golfi e altre isole costituite dagli stessi sassi. Noto, mentre rispondo, l’utilizzo continuo di metafore naturali: sto ancora guardando e costruendo paesaggio».
Fino al 16 aprile 2016 Passaggi Arte Contemporanea, via Garofani 14, 56125 Pisa; Info: www.passaggiartecontemporanea.it