La cultura è in lutto per la morte di Umberto Eco. Aveva 84 anni ma il suo pensiero era ancora lucido e attuale. Eco era molte cose, filosofo, padre della semiotica, docente universitario, giornalista, grande esperto della comunicazione e dei media, scrittori di testi che hanno segnato la storia della nostra letteratura, come Il nome della Rosa e de Il pendolo di Foucault. Laureatosi in filosofia nel 1954 all’Università di Torino con una tesi sull’estetica di San Tommaso d’Aquino, iniziò a interessarsi subito dopo di filosofia e cultura medievale, campo d’indagine mai più abbandonato. Nel 1956 pubblicò il suo primo libro, un’estensione della sua tesi di laurea dal titolo Il problema estetico in San Tommaso. Nel 1962, invece il saggio Opera aperta che ebbe notevole risonanza a livello internazionale e diede le basi teoriche al Gruppo 63, movimento d’avanguardia letterario e artistico italiano. Dalla fine degli anni ’50, Eco iniziò a interessarsi all’influenza dei mass media nella cultura di massa, su cui pubblicò articoli in diversi giornali e riviste, mentre nel 1968 esce il suo primo libro di teoria semiotica, La struttura assente. Collaboratore storico di testate come Repubblica e de l’Espresso, il suo ultimo libro critica al giornalismo, Numero zero è stato pubblicato lo scorso anno da Bompiani. In occasione del conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media all’Università di Torino, l’anno scorso si era espresso sulle potenzialità negative di internet: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli, prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».