L’utilizzo della luce neon e l’analisi dello spazio sono da sempre la cifra stilistica che contraddistingue il lavoro installativo e minimale di Massimo Uberti, artista di cui attualmente è ospitata, fino al 28 febbraio, una piccola mostra a Roma nello studio Geddes – Franchetti di via del Babbuino. Nei suoi lavori apparentemente semplici ed essenziali si nascondono riferimenti alla letteratura, alla filosofia e alla matematica attraverso linee o brevi frasi ordinarie ma efficaci, come Today I love you, la grande scritta al neon realizzata per l’Amsterdam light festival, che rimarrà permanete sul ponte di fronte la stazione della capitale olandese. Le Jardin (2015), oltre ad essere il titolo della mostra, è l’opera che accoglie lo spettatore all’ingresso. La parola francese, scritta in corsivo con un tubo al neon è appoggiata su una tavola a fondo oro; l’opera allude al finale del Candide di Voltaire dove alle speculazioni astratte e alle illusioni di felicità si contrappone l’operosità e l’impegno concreto. Attraverso sottrazione e immaginazione Uberti riesce ad esprimere l’infinito astrale e mentale. In La strada che porta alla realtà (2013) dal centro del libro (dallo stesso titolo) di Roger Penrose – il matematico e fisico inglese celebre per i suoi studi sulla struttura dell’universo – fuoriesce in verticale un neon che collega idealmente il basso verso l’alto, la terra al cielo, alludendo alla luce della conoscenza. Alla base di questo lavoro vi è l’idea di bellezza espressa dai numeri, spiega l’artista, ritenendo che sia la scienza sia l’arte abbiano la comune funzione di indagare le possibilità di un nuovo spazio.
Proprio l’inclinazione alla dimensione spaziale è un altro elemento costante nel lavoro di Uberti. Fa parte di una serie di lavori (realizzati tra il 2005 e il 2008) il tappeto kilim in lana ispirato ai disegni rinascimentali delle città ideali realizzato da artigiani del Rajastan. In sintonia con quest’ultimo i due lavori realizzati in vetro temperato e nitrato d’argento appartenenti alla serie degli specchi iniziata nel 2014. Essere Spazio, Los Angeles e Essere Spazio, Burchina Faso sono disegni specchianti che rinviano all’idea di aggregazione e di incrocio che si estende dalla dimensione sociale ed urbana a quella personale e collettiva: da una parte dunque l’incrocio di una moderna metropoli, dall’altra la rappresentazione della prima idea di costruzione organizzata di villaggio. Un omaggio a una coppia di filosofi (Federico Ferrari e Jan-Luk Nency) il lavoro Sentieri di luce dove un tubo al neon collega due coppie del loro libro intitolato La pelle delle immagini rappresentando visivamente ciò che la lettura di un libro può ispirare aprendo la mente verso altri orizzonti. Si tratta di una mostra di opere di piccole dimensioni adatte ad un ambiente domestico, lontane dalle grandi installazioni alle quali l’artista ha abituato il suo pubblico, ma che insistono sugli stessi semplici ma profondi concetti legati all’uomo e alla sua esistenza.