Le aste di arte contemporanea nel 2015 hanno visto il grande ritorno di Jean-Michel Basquiat, il writer divenuto superstar e morto a 28 anni nel 1988. Secondo il rapporto Artprice è suo il record dell’anno, con vendite per oltre 125 milioni di dollari e un singolo pezzo a 33 milioni. Al secondo posto della classifica si piazza l’inconfondibile Christopher Wool, con 112 milioni di vendite complessive e un’opera battuta a 26,5 milioni. Terzo gradino del podio annuale per l’eterno Jeff Koons, arrivato a 81 milioni, con quotazione top annuale da 23 milioni di dollari. Tre americani dunque, seguiti poi dal britannico Peter Doig, dal tedesco Martin Kippenberger e dal cinese Zeng Fanzhi, che precede Richard Prince (Usa), Zhu Xinjian (Cina) e Keith Haring (Usa).
A colpire però è, se così si può dire, il declino di Damien Hirst, che pur attestandosi a un più che dignitoso decimo posto della classifica Artpice 2015, ha visto, rispetto al suo anno record del 2007 ridursi le vendite all’asta dei propri lavori in modo significativo: da oltre 250 milioni prima del crac di Lehman Brothers ai 22 milioni dell’anno appena concluso.
Un’immagine che mette in luce l’elemento speculativo intorno al lavoro del “giovane britannico arrabbiato” Hirst, che però, a livello culturale, continua a mantenere la propria grande rilevanza, come certificato dalla retrospettiva alla Tate Modern del 2012. Insomma, mercato e storicizzazione di un artista non sempre procedono di pari passo e sulla scena del contemporaneo le logiche prettamente economiche giocano un ruolo talvolta di assoluta preminenza. Ma, per fortuna, non ci sono solo queste. E lo squalo di Hirst, pur con tutti i suoi problemi, continua ad affascinarci.