Intervista con Matteo Nasini


Ai tempi dell’asilo si è rotto un braccio cadendo dal pianoforte su cui era salito per appendere un suo disegno. In questo episodio d’infanzia è già racchiusa, come in un cortocircuito del destino, l’originale indagine artistica di Matteo Nasini, sempre in bilico tra suono e disegno. Dopo dieci anni impiegati a suonare il contrabbasso in orchestre di prestigio, abbandona la carriera di strumentista per sviluppare un percorso nuovo, in cui coltiva una poliedrica inclinazione per le arti visive, senza mai dimenticare la musica. Anzi, ponendo la riflessione intorno al suono come nucleo generatore e centro gravitazionale di ogni pratica artistica. Tra risuonatori eolici e policrome tessiture di lana, ma anche performance, fotografie o installazioni sonore, tutto l’estro dell’artista romano è teso alla ricerca dello strumento musicale impossibile e inaudito.

In qualità di finalista del Talent Prize 2015 hai partecipato alla collettiva nel museo Pietro Canonica con Centocordo. Come è nata questa cetra eolica?
«È un lavoro a cui tengo molto, l’ho realizzato per Amare l’arte, un progetto espositivo del 2011, nato per rivisitare il vecchio porto di Bari trasformando il molo in una galleria navigabile. L’idea della mostra partiva dal rifacimento del porto pugliese, che in epoca fascista fu ipotizzato come punto di partenza per un’eventuale colonizzazione del mondo arabo. Costruendo la cetra eolica ho pensato a una rilettura al contrario di questo luogo storico: il Centocordo, grazie alla malia sonora prodotta dal vento che spira forte e incessante sulla darsena di Bari, modifica il senso di quello spazio. Da luogo di inizio di una colonizzazione si trasforma in punto di accordo. Come il mare, anche la musica ha il potere di accomunare le persone sotto l’universalità della sua lingua. Le cento corde dello strumento sono di filo da pesca rimediato nel territorio e risuonano grazie a un elemento che viene da lontano, il vento. La serie di corde che guardano il mare è accordata sulla scala musicale araba, mentre quelle rivolte verso terra sono intonate secondo il sistema temperato dell’armonia occidentale. Questa scultura sonora è come una finestra sul Mediterraneo, inteso come elemento naturale che, più che dividere, mette in comunicazione mondi lontani».

La tua creatività è sempre stimolata da una chiave di lettura sonora della materia. Come concepisci lo spazio espositivo e la modalità di fruizione dei tuoi lavori?

«Quando ci si trova in una galleria o in un museo si è generalmente predisposti a un approccio frontale con l’opera, ma di fronte a un lavoro sonoro si ha l’aspettativa di sentire qualcosa e la consapevolezza gioca un ruolo fondamentale. Ad esempio, nel caso dei risuonatori eolici sono importanti le condizioni di percezione e ascolto. Le sonorità che esprimono sono affidate all’alea del vento, molto fragili, di tipo riflessivo e meditativo. Sono opere concepite in una prospettiva ambientale. Uno spazio in cui si possa più facilmente avere un allentamento della coscienza dell’ io e del contesto può di sicuro aiutare molto. Il mio intento è creare un oggetto che trasformi in suono gli elementi del paesaggio, a seconda della morfologia del territorio, della quantità e dei movimenti del vento».
Cosa porti della tua esperienza musicale nelle tue orditure con la lana?

«Nella tessitura è centrale il gesto della ripetizione, che ho assimilato nella pratica del contrabbasso. Sono affascinato dai fili di lana, sono bande cromatiche e frequenze di luce, li tendi come le corde e li avvolgi come le bobine delle registrazioni».

Qual è la prossima frontiera della tua ricerca?

«Intendo proseguire il discorso sul suono aleatorio usando, al posto del vento, il subconscio. Mi ha affascinato scoprire che in molte culture arcaiche esiste la pratica del rito di incubazione, ossia andare in un luogo deputato in cui concentrarsi per avere un sogno rivelatore. Parto dagli ipnogrammi, i grafici che riproducono le frequenze dei sogni, poi li rivoluziono stampandoli in 3D, in modo da ottenere la scultura dell’inconscio. Nel contempo lavoro a un software che riproduca in forma sonora quello che accade nel nostro cervello mentre sogniamo. La mia idea è costruire delle casse con woofer molto grandi e sensibili, in grado di vibrare alle basse frequenze che produciamo durante l’attività onirica e di restituire un suono molto materico. Mentre nella cetra eolica la forma sonora, oltre a essere aleatoria, è molto dronica, fatta di grandi tappeti che modulano o spariscono a seconda del vento, le frequenze emesse mentre dormiamo sono invece fatte di onde che possono annullarsi a vicenda o sovrapporsi nelle diverse fasi del sonno. Questi studi e tentativi mi appassionano soprattutto perché non so come sarà il suono che sto ricercando e mi avventuro nel mistero».

PROGETTI
L’inarrestabile inclinazione a fare esperienza di nuovi linguaggi, tecniche e procedimenti espressivi portano il talento ibrido di Matteo Nasini a sondare anche le potenzialità della parola, intesa come narrativa del suono. Da questo spirito di ricerca nasce Distratti dal buio, una pubblicazione sperimentale edita da Yard press e di prossima uscita. Giocando con mutamenti ritmici nella lettura e con alterazioni dei piani di realtà l’artista ha congegnato una serie di racconti minimali intessuti grazie all’uso complementare di testi e immagini. Il libro sarà ufficialmente presentato al pubblico il 10 dicembre attraverso un evento d’eccezione a cui Nasini sta lavorando: una performance che avrà come scenario il seducente spazio sconsacrato della Chiesa di Santa Rita, nel cuore di Roma.

Info: www.matteonasini.com

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