Petrit Halilaj, mondi possibili

Succede che a volte mondi possibili, solo immaginati e sognati, diventino reali. Succede che un segno grafico magicamente prenda il volo per tracciare nell’aria disegni intangibili e istantanei, rapidi e abbaglianti come un battito d’ali. Succede che il tratto leggero di una matita prenda possesso di un’intera stanza e rimodelli i suoi confini, portandoli oltre. La rigidità di un’immagine, la negazione di una risposta, la difficoltà della pianificazione del futuro portano, spesso, ad immaginare altre strade possibili e a scovare modi sempre nuovi per costruire il sé e l’avvenire. Space Shuttle in the Garden, prima personale in Italia del giovanissimo Petrit Halilaj (Kosovo, 1986) nello spazio milanese Pirelli HangarBicocca e prima impresa della nuova curatrice Roberta Tenconi, costringe a riflettere sul tema della possibilità fin dal suo ingresso, stretto buio e di sbieco, che delicatamente accompagna il visitatore all’interno dello spazio espositivo il quale si svela piano piano, attraverso un intelligente disegno allestitivo costituito da barriere visive che invitano il pubblico a scegliere percorsi nuovi di esplorazione; solo in questo modo si possono notare particolari piccolissimi, posizionati in luoghi inusuali, apparentemente abbandonati; tracce lasciate in attesa che qualcuno le noti e le custodisca. Il percorso fisico da compiere è una metafora del percorso personale dell’artista, che in occasione della mostra ha deciso di rileggere lavori creati a partire dal 2008 seguendo le suggestioni dello spazio e i cambiamenti, inevitabili, avvenuti nella sua vita, alla sua famiglia e al suo Paese. Partendo da una dimensione strettamente personale e intima, quindi, Petrit racconta storie che toccano le corde di ognuno, che affiorano da ricordi o da sogni, che sono già a accadute o che avverranno. I titoli delle opere in mostra, ripresi dai suoi diari, richiamano alla passione dell’artista per la scrittura e rilevano una natura intima, profonda, ma anche ironica alla base di sculture e installazioni apparentemente rigide e crude, quasi sempre rappresentative di uno slancio verso il futuro.

The places I’m looking for, my dear, are utopian places, they are boring and I don’t know how to make them real (2010-2015) domina lo spazio dello shed ed è costituita dalle casseformi della casa costruita dalla famiglia Halilaj nel 2010 nella capitale del Kosovo, Pristina. La casa non è un luogo statico, ma in movimento, perché in moto sono le persone che la abitano. Così, come dei satelliti, si insidiano nello spazio le stanze private dei membri della famiglia Halilaj orbitanti attorno al nucleo centrale degli spazi comuni, posizionato nel mezzo dell’esposizione. Le dinamiche famigliari sono fatte di rotte diverse che si intersecano, si allontanano, viaggiano in comunione, così come i componenti della famiglia sono delle realtà individuali con le loro precise caratteristiche, c’è chi ha bisogno di un sostegno, chi è perfettamente autonomo, chi guarda oltre e chi non si stacca mai completamente dall’embrione iniziale. La casa è il luogo delle prime esperienze: They are Lucky to be Bourgeois Hens II, 2009, è un pollaio parco giochi per paffute galline che si allarga verso l’esterno dell’Hangar e che custodisce al suo interno un razzo spaziale usato dagli animali come ricovero per la notte o come ipotetico mezzo di trasporto; una società perfettamente organizzata, quella delle galline, che come la famiglia di Petrit – e le realtà che ognuno di noi vive nel suo quotidiano – ha un suo personale codice di organizzazione e comunicazione. O ancora, la casa è il luogo dei ricordi, da custodire, nascondere e rileggere passata la tempesta degli eventi: It is the first time dear that you have a human shape, 2012-2015, è una serie di gradi sculture che ritraggono i gioielli della made ingranditi di cento volte e decorati con i resti della prima casa di famiglia andata distrutta durante il conflitto tra Kosovo e Serbia. In una diagonale ideale, ancora una volta un tratto netto grafico nello spazio, Petrit ci accompagna nei luoghi abbandonati della sua infanzia e vivi nei suoi ricordi, in quelli dell’esperienza e del gioco, infine nel presente e ci da la possibilità guardare al futuro dall’oblò di un razzo spaziale dal quale si può vedere la piuma di un gallo fluttuare nell’acqua. Fino al 13 marzo 2016; Info: www.hangarbicocca.org

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