Un girotondo di donne, un cerchio chiuso e ondeggiante contro il monsone: il rosso delle vesti indiane sembra pronunciare l’istinto di protezione nel mezzo della tormenta. È questa la fotografia che più di ogni altra Steve McCurry definisce come la sua preferita: Tempesta di Sabbia, Rajastahn. Si trova esposta, insieme ad altri 179 scatti scatti del celebre fotografo, alla mostra Icons and Women, fino al 10 gennaio ai Musei San Domenico di Forlì. La rassegna presenta una selezione delle immagini più̀ famose di McCurry insieme ad alcuni lavori recenti e ad altre foto non ancora pubblicate nei suoi numerosi libri. Il percorso espositivo, curato da Biba Giacchetti – e nel suggestivo allestimento di Peter Bottazzi – propone un viaggio intorno all’uomo e al nostro tempo, in una inedita declinazione al femminile. «Quello che amo della fotografia è Il senso di meraviglia che provo mentre esploro il mondo e scopro le cose che differenziano o che accomunano le diverse persone», dichiara il fotografo. E il senso di meraviglia è quello che anima l’intera mostra: una galleria di ritratti e di altre foto in cui la presenza umana è sempre protagonista, anche se solo evocata. Un percorso di scoperta, che progressivamente si raccoglie in un universo pienamente femminile, che con i suoi sguardi coinvolge con la sua dimensione collettiva dove si mescolano età̀, culture, etnie che McCurry ha saputo cogliere con umanità: «Ho imparato a essere paziente. Se aspetti abbastanza, le persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi verso di te». Il punto di arrivo della mostra è il ritratto della ragazza afgana nel campo profughi di Peshawar, diventato ormai una icona assoluta della fotografia mondiale: esposta insieme ad altri due scatti, uno inedito ed uno realizzato da McCurry a distanza di oltre 17 anni, dopo averla finalmente ritrovata. La mostra comprende delle sezioni dedicata alla guerra, alla violenza ma anche ai temi della pace, della spiritualità, dell’accoglienza.
ll fotografo Steve McCurry è noto in tutto il mondo per le sue immagini di alto valore artistico e documentaristico. Gli studi di cinematografia e storia alla Pennsylvania State University gli hanno consentito di sviluppare e perfezionare il talento in entrambi i settori. Conseguita la laurea cum laude nel 1974, inizia a lavorare come fotografo di un quotidiano di King of Prussia, un sobborgo di Philadelphia, sua città natale. Quattro anni dopo decide di lavorare come freelance, parte per l’India e il Nepal. Il suo obiettivo è realizzare servizi geopolitici per i periodici. Dopo un avvio lento, McCurry arriva in breve tempo alla ribalta internazionale: quando la sua fotografia dei combattenti mujaheddin che controllano il passaggio dei convogli russi viene pubblicata sul New York Times, McCurry diventa famoso in tutto il mondo. Nel 1980 segue la guerra in Afghanistan per Time e viene premiato con la prestigiosa medaglia d’oro Robert Capa per il miglior reportage fotografico realizzato all’estero con straordinario coraggio e spirito d’iniziativa. McCurry inizia quindi a collaborare con National Geographic. L’immagine della piccola profuga afghana dagli occhi verdi pubblicata sulla copertina di National Geographic nel 1985 lo consacra tra i maestri del fotogiornalismo mondiale ed è ancora oggi una delle fotografie più riconoscibili mai scattate. Promossa dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e dal Comune di Forlì in collaborazione con la Settimana del Buon Vivere, la mostra è organizzata e prodotta da Civita in collaborazione con SudEst57. Fino al 10 gennaio, Musei San Domenico, Forlì.