Parigi, la testimonianza

Dovevano essere, per me e la mia ragazza Roberta, 5 giorni di vacanza e di fotografia e invece l’unica cosa che proviamo ora è un immenso dolore. Non pensavamo mai di vivere di persona una situazione del genere. Venerdì usciti da Fotofever, che si svolge all’interno del Carrousel du Louvre, dopo una giornata ricca di incontri e di fotografia decidiamo di prendere una birra un un locale e di andare a visitare la torre e mentre ci trovavamo in metro comincia a spargersi la notizia dell’attentato nello stadio. Naturalmente subito si sparge il panico anche perché ci trovavamo in uno dei luoghi che di solito vengono presi di mira per gli attentati. Alla prima fermata scendiamo tutti e saliamo in superficie. A quel punto capiamo la gravità reale della cosa. In strada comincia a a non esserci più nessuno, i locali chiudono in fretta e furia e tutte le metro i taxi e i bus spariti in un attimo. La torre era praticamente deserta. L’unica cosa da fare era ritornare in albergo. Cosa quasi impossibile con i mezzi. Due ore di camminata in una Parigi deserta. Quasi due ore per raggiungere il nostro albergo, in via Moliere, a due passi dal museo du Luovre. Naturalmente la notte è stata insonne passata a guardare le notizie che arrivavano in tv. Il giorno dopo appena svegli in albergo ci consigliano di non uscire, mille telefonate di amici che cercavano di avere notizie sulle nostre condizioni. Sono fatti questi che toccano profondamente anche solo guardandoli in tv, ma sapere che poteva accadere ovunque, che potevano essere li, destabilizza ogni certezza. Il Fotofever è andato avanti, anche se una persona di una galleria presente all’evento è tra le vittime del Bataclan. In un carrousel blindato da mille guardie e completamente deserto perché tutto è chiuso. Così no! Così non me la sono sentita di continuare questa manifestazione, di mascherare tutta la tristezza che c’è dentro. Ora voglio solo pensare.

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