L’orchestra delle Ninfe

Nel silenzio altisonante della Sala Santa Rita, che ancora una volta si conferma essere un contesto assolutamente adatto ad ospitare arte contemporanea, l’atmosfera è quella di una sala da concerti, con il pubblico in attesa e il primo violino pronto a suonare il primo La. Le luci sono basse e soffuse, gli astanti si concedono un sussurrato chiacchiericcio, continuamente interrotto per la paura di disturbare l’integrità della quiete. A spezzare l’attesa una ritualità quasi sciamanica, che produce una musicalità elettronica: sotto le mentite spoglie del travestimento ancora una volta Emiliano Maggi incanta il pubblico, dando vita stavolta all’orchestra delle Ninfe. Uno dopo l’altro, gli strumenti ‘naturali’ si accendono seguendo una cadenza magica. I temi cari all’artista sono tutti presenti: il rapporto con la natura; la connessione di quest’ultima con la musica; il ritorno a quelle radici ancestrali che, nel tempo presente, l’uomo tende a dimenticare; la tradizione del racconto, che in questa nuova performance si costruisce nella stratificazione di storie-motivi interpretate dai diversi strumenti.

Nonostante si dica di ogni magia che, perché sia efficace, non bisognerebbe raccontare il trucco, colpisce quanto lavoro manifatturiero ci sia dietro la realizzazione di un progetto di questo tipo oltre alla corposa mole di ingegno e riflessione. Alberi ormai privi di linfa vitale vengono scavati dall’interno per lasciare spazio ad apparecchiature elettroniche dotate di amplificatori: sulla superficie ruvida della corteccia le corde tese di quelle che sembrano chitarre elettriche, il bottleneck che una volta sfiorato produce una serie di note pre-determinate. La pluralità dei suoni si sovrappone combinandosi con interventi vocali dell’artista che vanno a costruire una sorta di coro che canta debole, in lontananza. Lo spettatore è finalmente e ormai totalmente immerso nel bosco, fra i suoni di un albero cavo e le risate delle Ninfe che scappano per nascondersi e restare a guardare, non viste. Ancora una volta passato e presente si incontrano, innesti musicali animano delle installazioni scultoree. Il suono ruvido e metallico si sposa con quegli elementi naturali devitalizzati che, grazie alla musica, ritrovano energia e seppur decontestualizzati dal loro habitat naturale ritrovano una delicatezza inaspettata sotto la volta della chiesa in Piazza Campitelli. Come in ogni favola che si rispetti arriva al termine la parola fine, le Ninfe sono fuggite via, lontane, i suoni si interrompono uno alla volta, la musica si spegne inghiottita dal tempo, come se niente fosse mai successo.

 

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