Amuenp

L’indagine sul rapporto fra arte e follia è il fulcro della mostra Amuenp di Lara Pacilio a Interno 14 a Roma a cura di Maila Buglioni. Il titolo non è altro che la dicitura al contrario di Pneuma che tradotto vuol dire anima. L’artista ci conduce in un mondo dove l’incanto per le emozioni viene reso in maniera profonda e inquietante. Il corpus di lavori legati fra loro da questo tema ha avuto inizio quando, nel 2013, Pacilio ha visitato il manicomio di Volterra, tema che poi ha approfondito con la frequentazione del Santa Maria della Pietà nella Capitale. In questi luoghi ha trovato terreno fertile per riflettere sul discorso legato alla malattia mentale che, nel suo pensiero, permea tutti  in maniera latente, soprattutto nella società in cui ci troviamo a vivere.

Il percorso dell’esposizione comincia con una sala dove una serie di padiglioni, opere fra scultura e installazione, vogliono alludere allo stato di follia latente che appunto ci riguarda e che si incarna soprattutto nella figura della Madonna. Essa rappresenta il nostro più alto modello di riferimento femminile, sia per gli uomini che per le donne, e genera una sorta di sfasamento mentale perché è un modello irraggiungibile. Piccole figure umane stampate da diapositiva cercano di raggiungere l’idolo, di giocarci, di tirarlo verso il basso a rappresentare vari stati emozionali che ci attraversano. Uno dei padiglioni è dedicato al rapporto uomo donna, incerto e dai contorni sfumati per una serie di problematiche universali e personali che albergano in ognuno di noi. Mentre nel padiglione più recente una donna si trova su di un burrone, raffigurazione artistica di una situazione che implica la riflessione su condizioni che incontriamo nel nostro cammino inaspettatamente: esso è accompagnato da un’ombra generata sulla parete laterale che si legge quasi come una minaccia.

All’ingresso due video, From L to L1 e From L to L2, che fanno riferimento a due installazioni diverse presenti in mostra in cui protagonista è la maschera come protezione di noi stessi e come faccia che mostriamo al mondo rivelando contesti irrisolti, meccanicamente portatrice di cardini incatenati nel nostro ruolo più evidente e a volte menzognero in un continuo arrancare verso una verità difficile da possedere, in un incedere verso la follia a tratti celata. Il video From L to L1 si impernia sul rapporto fra la società occidentale e il momento subito precedente a uno squilibrio mentale attraverso la prima installazione: una maschera cui è attaccata una spina dorsale che si incastra in una sorta di percorso metallico, con un meccanismo che la fa incedere in modo irregolare, allude alle nostre frustrazioni che si relazionano con la nostra fragilità. La musica, realizzata da Luca Nostro, sottolinea tutto ciò.

L’unica possibilità di uscita da questa condizione diviene l’ambientazione: un chiostro quieto e immerso nella natura, mentre una voce narrante recita parole tratte dalla Storia della Follia nell’età classica di Michel Foucault. Nel video From L to L2 contesti naturali come spazi rocciosi fanno da contraltare a una narrazione che sottolinea la persistenza dell’ego umano nella lotta fra affermazione e abbandono alla natura. Presente la seconda installazione: una maschera ruota con un meccanismo è ed accompagnata da un sibilo incessante quasi fosse una voce interiore che racconta il suo tormento. Sottile si manifesta un desiderio di emancipazione. Il video Mutter, parola che in tedesco vuol dire madri, presentato in una terza sala, parla del percorso di una donna a partire dalla nascita per arrivare alla morte. Una donna che non può avere figli e per questo la performer che la rappresenta porta con sé una scia di sangue.

La protagonista indossa una maschera che sta simboleggia il suo rapporto con l’esterno e incontra, dopo essere nata all’interno di un cerchio sospeso, dopo che ha camminato a significare il corso della vita, l’icona più sacra, una madonna da cui fuoriescono uccelli, i figli mai avuti. Questo evento doloroso la conduce alla morte mentre il sangue che si porta dietro come testimonianza della vita, si sparge a terra. Nell’ultima sala un dipinto: una bambina che si copre il volto con le mani. Un segno di dolore. Ma cosa ci vuole dire Pacilio: la bambina come testimonianza dell’inizio della vita imprigionata in una maschera? Il momento in cui comincia ad albergare la follia latente? L’incontro, nella crescita, con la parte più profonda del sé?

Fino al 17 luglio Interno 14_spazio Aiac, via Carlo Alberto 63, Roma; info: www.architetturaecritica.it

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