Damián Ortega, Casino

Lo spazio Shed dell’Hangar Bicoccad’estate ha tutto un altro fascino. Porte spalancate, luci soffuse che riempiono gli spazi, caldo, sole e arte. La mostra che inaugura in un caldo pomeriggio milanese è Casino di Damián Ortega (Città del Messico, 1967) a cura di Vicente Todolí. Diciannove le opere esposte nello spazio che presentano e descrivono la ricerca dell’artista messicano. Molto probabilmente non una delle ricerche più originali del momento, ma sicuramente apprezzabile per la sua coerenza. Nel giorno dell’inaugurazione, ad accogliere lo spettatore, puntuale c’è la grande performance Moby Dick (2004). Tre musicisti suonano l’omonimo brano dei Led Zeppelin sul loro palco immaginario delimitato da tre cerchi intersecati che richiamano il simbolo della copertina dell’album del 1971. Nel frattempo, un Maggiolino Volkswagen, protagonista non solo della performance, ma dell’intera trilogia The Beetle Trilogy, è al centro di una lotta tra energie che vede coinvolte funi, grasso e motori. The Beetle Trilogy è, per l’appunto, una trilogia di opere ispirate al celebre Maggiolino Volkswagen, icona di un’epoca, nonché quello che fu il simbolo di speranza e di ripresa per l’intero Messico dopo la seconda Guerra Mondiale. La trilogia comprende la performance Moby Dick, metafora della potenza quasi mitologica attribuita alla vettura, il film Escarabajo (2005) in cui viene raccontato un ipotetico viaggio verso l’eutanasia della celebre icona e Cosmic Thing (2002), opera che consiste materialmente nella scomposizione tridimensionale dell’automobile stessa in tutte le sue parti più piccole. Stesso impatto scenografico ha la grande installazione Controller of the Universe (2007), dove centinaia di attrezzi da lavoro vengono appesi al soffitto attraverso fili metallici. Un’installazione che vede lo spettatore immergersi e perdersi nello studio particolareggiato di ogni singolo attrezzo.

La sua indagine indiziaria basata sull’analisi, quasi scientifica, dei più piccoli elementi che compongono ogni entità, prosegue anche nelle opere di piccolo formato. Grandi tavoli accolgono i suoi lavori di assemblaggio, scomposizione e catalogazione. Colpiscono Elote Clasificado (2005) una pannocchia essiccata in cui ogni singolo chicco è meticolosamente numerato ed Estratigrafia 4 (2012), una sfera divisa in due, composta da una collezione di poster raccolti nell’arco di un anno dall’artista: un esperimento che non si ferma ad analizzare solo la materia e la sua conformazione, ma aggiunge, in quest’occasione, anche un’analisi del fattore temporale. Interessante è l’opera Nine Types of Terrain (2007) composta da nove film in pellicola 16mm che in loop vengono proiettati su 9 schermi differenti. L’opera prende spunto dal testo The Art of War di Sun Tzu, generale e filosofo cinese vissuto tra VI e V secolo a. C.. Le scene dei film sono girate dove un tempo sorgeva il Muro di Berlino. Piccoli mattoncini, posizionati sul terreno, riproducono nove delle strategie di guerra proposte da Sun Tzu, ma un effetto domino ne causa la caduta graduale, la disfatta. Metafore semplici e dirette quelle che alimentano il lavoro di Ortega consentendo alla sua indagine materica di esprimersi su più livelli. L’approccio quasi scientifico richiama alla mente quel sapere venatorio che, tratto distintivo dell’uomo e delle sue indagini, parte dal particolare cercando di trovare un senso all’insieme.
Fino all’8 novembre, Fondazione Hangar Bicocca, Via Chiese 2, 20126 Milano, info: www.hangarbicocca.org

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