Fotografia Europea

La fotografia Contemporanea, anzi, quella Europea ha la sua casa a Reggio Emilia, dal 15 maggio. Tre giornate di eventi a ciclo continuo aprono Fotografia Europea 2015, per la sua decima edizione che si svolge ancora nella città emiliana, terra da sempre impegnata in una tradizione di cura e valorizzazione per la fotografia storica e contemporanea, a cui partecipano all’unisono soggetti pubblici e privati. Per la serata d’apertura è previsto un evento di video mapping sulla facciata del Teatro Valli e di musica insieme con il dj italiano Benny Benassi per dilettare vista e udito insieme. Tutte le mostre in programma saranno visitabili fino al 26 luglio, un periodo più lungo rispetto alle altre edizioni, in continuità temporale con Expo 2015. Anche il Concept scelto, Effetto Terra si lega contenutisticamente all’Esposizione Universale. Un omaggio e una riflessione sulla terra e sull’uomo, ai giorni nostri e nel passato attraverso l’immagine fotografica. Luoghi storici della città accolgono, come nelle altre edizioni, le mostre come il Palazzo dei Musei, i Chiostri di San Domenico, la Galleria Permeggiani e la Biblioteca Panizzi, la Sinagoga e il Museo dei Frati Cappuccini. Si apre straordinariamente quest’anno Palazzo del Mosto per la collettiva No Man Nature. Altra novità 2015 è anche il Comitato Scientifico composto da Walter Guadagnini (Accademia delle Belle Arti di Bologna), Diane Dufour (direttrice del nuovo spazio parigino Le Bal) ed Elio Grazioli (Università degli Studi di Bergamo) che in una call pubblica autunnale hanno scelto tra 210 fotografi i progetti e le interpretazioni più idonee al Concept15. Abbiamo intervistato Elio Grazioli per fare il punto su uno dei festival più imponenti e internazionali del nostro paese. Infop: www.fotografiaeuropea.it

Un’edizione di Fotografia Europea quest’anno particolarmente significativa e di grande impegno, in linea con Expo 2015 nei contenuti e nei tempi di esposizione. Qual è stata la sfida maggiore?
«Credo che la sfida sia sempre quella di trovare un taglio che non sia troppo scontato, che possa incuriosire e al tempo stesso invitare a delle riflessioni. Il tema deve essere aperto, ma anche indicativo di una direzione, gli autori devono essere vari, ma devono rendere evidente il taglio. Insomma è un’alchimia non facilissima, se si pensa a quanti collaboratori sono coinvolti. Quest’anno forse è un’edizione più attuale. Abbiamo una mostra storica dalla collezione della Biblioteca Panizzi e una grande mostra di un fotografo che è ormai un classico come Olivo Barbieri, ma abbiamo soprattutto mostre più audaci, come quelle di Joan Fontcuberta, Erik Kessels, Thomas Ruff, e di autori più giovani, internazionalmente già notissimi, ma senz’altro meno noti al grande pubblico italiano, come Darren Almond, Richard Mosse, Stefen Gill, Jules Spinatsch, per gli stanieri, o Carlo Valsecchi e Amedeo Martegani tra gli italiani».

Il festival FE15 è alla decima edizione, che cosa si proponeva alla sua nascita. Dopo diversi anni l’obiettivo ultimo è rimasto quello originario?
«Fotografia Europea è nata a Reggio Emilia perché in questa città vi è una tradizione e un territorio che ha da tempo un interesse particolare per la fotografia e il festival voleva allargare quei presupposti a scala europea, come appunto dice la denominazione. Fin dall’inizio il festival è stato concepito in modo che non si rivolgesse solo ai fotografi, ma fosse una riflessione sui grandi temi a partire dalla fotografia. Per questo ha deciso di darsi ogni edizione un tema, di costruire attraverso i temi un percorso, e di accompagnare le mostre dei fotografi con incontri anche con studiosi delle diverse discipline attinenti a ciascun tema e di offrire un catalogo che facesse altrettanto, dunque ricco di testi, oltre che di immagini, e curato in modo da diventare uno strumento di riflessione globale. La formula e l’obiettivo sono rimasti gli stessi, anche perché hanno funzionato bene, parrebbe».

Il concept 2015 è ‘Effetto Terra’ e nella collettiva No Man Nature, ci si affida alla fotografia per riflettere sul rapporto tra uomo e terra, sulla possibilità che l’uno possa esistere senza l’altro. La fotografia contemporanea è stata in grado di rispondere?
«Il tema di No Man Nature è delicatissimo, è una sfida che nasce dalla constatazione che la natura e l’idea di natura si vanno trasformando e dunque è un invito a non subire il cambiamento ma ad affrontare le questioni che vi sono legate. Così anche tutto il resto del festival, le cui mostre abbiamo allora suddiviso in sezioni secondo le varianti del rapporto tra uomo e natura. No Man Nature in particolare chiede di riflettere sul fatto che da un lato noi continuiamo a immaginare una natura vergine, cioè appunto senza presenza umana, dall’altro lato andiamo verso un mondo, il cosiddetto“virtuale ma anche tanta nuova tecnologia, che ha sempre meno l’aspetto e l’idea della natura. La fotografia ha un duplice ruolo in questa riflessione: quello di documentare e interpretare questi due mondi e quello di tentare uno sguardo nuovo proprio nel loro confronto. Cioè abbiamo di fronte cose nuove da guardare ma anche uno sguardo nuovo per vedere diversamente. La fotografia contemporanea affronta tali questioni da tempo, decenni ormai: la fotografia non è più quella pura, lo scatto, l’istantanea, ma è diventata un’operazione complessa di lavorazione dell’immagine, di ricerca di archivio, di coinvolgimento del territorio, di storia, di memoria, di sapere. Gli artisti che abbiamo invitato sono vari proprio perché non abbiamo sposato una linea in particolare, ma abbiamo voluto illustrare le varie possibilità già in atto».

È corretto affermare che se da una parte si è cercato con la fotografia di interpretare i temi legati al pianeta, dall’altra si è cercato di rappresentare e di far luce sull’oggettività del nostro mondo con le immagini prodotte dalla giovanissima agenzia Noor, il cui nome significa appunto luce?
«Assolutamente sì, e si è sottolineato questo aspetto, come anticipavo nella risposta precedente, indicando con i titoli delle sezioni in cui sono raccolte le varie mostre la necessità di ripensare la natura, la terra, perfino il pianeta stesso, così come di ripensare l’uomo, la sua storia, il suo rapporto con la tradizione e il territorio. In questo contesto la mostra dell’agenzia Noor è molto efficace, mi pare. Quanto al fatto che sia un’agenzia giovanissima, ci mancherebbe! Da sempre cerchiamo di tenere insieme storia e attualità, sguardi antichi e sguardi più nuovi e giovani possibile. Del resto è agli attuali giovani che spetta l’eredità delle questioni che si affrontano oggi».

FE15 fin dalla sua prima edizione ha avuto un’offerta variegata per ogni grado di fruizione. Una libera chiamata collettiva che riunisce fotografi di vario livello, dalle associazioni, alle scuole, alla fotografia autoriale e che si anima nel tessuto urbano dove ogni luogo diventa museo?
«Il successo della rassegna + dovuto in modo particolare alla partecipazione di tutta la città di Reggio Emilia che si esprime nell’ospitalità a centinaia – non sto esagerando, superano le 200 ogni anno – di mostre del circuito Off a cui partecipano fotografi da tutta Italia, e anche dall’estero. È la grande peculiaritàà, un’amministrazione comunale e un magnifico staff che si fanno carico del coordinamento e dell’organizzazione di questo enorme circuito, rendendo tutti partecipi. Non credo che esista niente del genere da nessun’altra parte.

Sembra che la riflessione dei fotografi sia rivolta maggiormente a ciò che sta sopra di noi, cielo e stelle. Infinitamente distante piuttosto che infinitamente vicino e che sta intorno a noi.
«È solo una parte, forse però la più impressionante, quella che colpisce di più, perché è quella spiazzante, quella che ci si aspetta di meno e che allora dà da pensare. L’uomo ha sempre guardato in alto cercando risposte per ciò che sta in basso. Speculare, sinonimo di riflettere, in origine significava osservare il cielo con l’aiuto di uno specchio; considerazione significava guardare le stelle (sidus, in latino). Ma etimologie e antichità a parte, noi l’abbiamo sottolineato in catalogo questo aspetto con ben due testi di due filosofi audaci ma attenti alle questioni più contemporanee: Paul Virilio, che parla proprio di tele-visione e Peter Soloterdijk che addirittura parla di come la visione satellitare può cambiare il nostro sguardo e il nostro pensiero. Il “micro” è rappresentato da altri che guardano dentro non solo la materia, ma l’uomo stesso, la storia, le figure. Più che l’invisibile, potremmo dire, a noi qui interessa come guardare il visibile diversamente, cioè senza darlo per scontato e acquisito».

Fino al 26 luglio, Reggo Emilia, vari luoghi; info: www.fotografiaeuropea.it

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