Cose di Casa degli Altri

“La casa appare come se fosse un testo, scritto dai suoi abitanti con materiali provenienti da fonti diverse, quasi come un collage e usato a sostegno della propria identità”, dice Lia Lucchetti. Questo in breve, ma solo in parte, quello che la Gigantic Gallery di Milano racconta in Cose di casa degli altri, la mostra attualmente in corso negli spazi di Via Termopili 28. Una rassegna che parla di bisogni, di intimità e di unione, del bisogno di spazio, di identità e di indipendenza: tutte necessità che potrebbero descrivere benissimo l’atmosfera domestica, leitmotiv della mostra e che, allo stesso tempo, riescono a descrivere l’attività di una piccola galleria come quella di Via Termopili. Gigantic Gallery è uno spazio giovane e indipendente, nato nel 2014 da un collettivo di amici, tutti professionisti nel campo della musica, del video e della fotografia. Una galleria che nasce dal bisogno di sperimentazione con l’obiettivo di unire esperienze diverse, ma compatibili. In mostra molti giovani artisti: Manolo Di Pino, Elisabetta Claudio, Alessandro Cicoria, Laura Lecce, Matteo Ferrari, Michele Sibiloni, Fabrizio Vatieri e Sebastiano Mastroeni. Otto ricerche artistiche che, per l’occasione, indagano sulla dimensione domestica, sui ricordi e sui vissuti che le appartengono, che siano quelli di persone sconosciute o di compagni incontrati durante un viaggio. Al piano superiore è ospitata un’indagine prettamente fotografica che focalizza l’attenzione sugli spazi abitativi vissuti e personalizzati che, seppure catturati in uno scatto e trasportati in un ambiente espositivo, non perdono il loro calore domestico fatto di storie, oggetti e relazioni.

Al piano inferiore la ricerca si fa più oggettuale. Nella prima stanza s’incontra Soleil, un’interessante installazione di Fabrizio Vatieri. Una struttura di legno bianco posata a terra, ospita sei fotografie di case private, a ogni fotografia corrisponde un piccolo comignolo luminoso che permette allo spettatore/voyeur di osservare dall’alto l’interno del piccolo spazio domestico. In sottofondo una lezione di Le Corbusier sull’importanza dell’esposizione al sole delle abitazioni. Nella stanza accanto trovano posto gli oggetti di Sebastiano Mastroeni. La sua opera, non a caso, si chiama come lui: Sebastiano. Un’appropriazione di oggetti la sua, che parla di realtà diverse e lontane, ma che in fin dei conti parla di lui, della sua sensibilità e del suo nonsense. Sono piccoli cimeli quelli che l’artista raccoglie, quasi esseri viventi ai quali non sogna nemmeno per un attimo di attribuire dei semplici articoli indeterminativi, ma li tratta come persone, “lei, lui, loro” e anche la polvere che li ricopre, ormai parte di loro, è liturgicamente conservata. L’odore che rimane una volta lasciata la mostra è quello di casa, di finestra lasciata aperta per ore e di lenzuola appena cambiate. Visitabile su appuntamento la mostra rimarrà aperta fino al 30 aprile. La Milano dell’Expo non è fatta solo di istituzioni e di nomi altisonanti, ma soprattutto di tante buone idee.

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