Letizia Battaglia, Gli Invincibili

Letizia. E poi Battaglia. Una contraddizione in termini, un ossimoro al pari della Palermo documentata attraverso le sue fotografie in bianco e nero, città-simbolo di una terra sublime e al tempo stesso decadente, eternamente lacerata da profonde contraddizioni. Grazie agli scatti di Letizia Battaglia abbiamo assistito alla Sicilia del misticismo religioso e dei salotti aristocratici agghindati a festa, quella delle guerre di mafia e di tutto questo messo insieme, indistintamente, come in una grottesca rappresentazione di Bruegel. Erano i tempi delle morti eccellenti, dei mandatari e dei mandanti: la «zona grigia» di uno Stato che controvoglia finanziava le esequie dei suoi più fedeli servitori, devoti fino alla fine a quell’ideale che soltanto un ideale non è, o non dovrebbe essere: in una parola, giustizia. Letizia e il suo grandangolo, sempre a un passo dalla storia, nelle trincee di una guerra che si combatteva in Sicilia ma che andava vinta a Roma, nei palazzi del potere. Lei c’era, alla maniera di Arthur Fellig – in arte Weegee – fotografando le scene dei misfatti anche prima dell’arrivo delle volanti, in veste di fotoreporter per il quotidiano comunista L’Ora. C’era la mattina del 6 gennaio 1980, quando la mafia freddò il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella e continuò ad esserci dodici anni dopo, il giorno in cui nella strage di Capaci morirono Giovanni Falcone, sua moglie, tre agenti di scorta e gran parte delle istanze di rinnovamento nutrite dalla società civile. «Rimasi tre ore davanti al pronto soccorso ad aspettare l’ambulanza – racconta – forse escogitai questa attesa per non vedere né sentire, per evitarmi ulteriori dolori. Le foto che non ho fatto oggi mi fanno male, molto più male delle altre. Perché sono tutte qua, dentro la mia testa, e non le posso dividere con nessuno». Letizia c’era allora e c’è oggi, sebbene in modo diverso, per esorcizzare il male e far quadrare finalmente il cerchio.

A Palermo, nei locali dell’Associazione Nuvole Incontri d’Arte, sarà visitabile fino al 16 maggio la mostra dedicata al progetto Gli invincibili. Lavoro frutto del biennio 2013-2014, Gli invincibili rappresenta l’ennesimo episodio di un percorso di sperimentazione già avviato con le Rielaborazioni, ma che si distacca da queste ultime sia per estetica che per contenuto. Nelle rielaborazioni – denominate anche Spiazzamenti, termine che risulta più azzeccato per coglierne l’essenza – la fotografa si cimentava in un’operazione di reinterpretazione del suo stesso archivio d’immagini, sovente accostando dei nudi di donna a vecchie foto di cronaca nera: spiazzava il significato – o ne spostava il punctum, per dirla con Roland Barthes – da un passato di povertà e miseria ad un presente di speranza. Vita che trionfa sulla morte, seppure entro i limiti di una fotografia. Ne Gli invincibili, al contrario, vi è la coesistenza di immagini che soltanto in minima parte sono opera della Battaglia, come a voler attingere da un patrimonio iconografico che la fotografa palermitana reputa di tutti, alla stregua di un bene comune. Letizia abbandona il reportage in chiave classica e si concentra sulla raffigurazione di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, l’hanno formata. Si succedono i ritratti di Pier Paolo Pasolini, Pina Bausch, James Joyce, persino Rosa Parks, la statunitense attivista di colore che nel 1955, a bordo di un bus, rifiutò di cedere il proprio posto ad un bianco. E ancora Sigmund Freud, Gabriele Basilico, Che Guevara con il sigaro d’ordinanza. La fotografa fa suoi alcuni dei precetti di Andy Warhol, cosicché ogni foto si staglia centralmente su di uno sfondo composto da numerose ripetizioni della stessa, ad esclusione di un tassello in cui viene riprodotta un’immagine aggiuntiva pur sempre legata al vissuto del soggetto. Sarà quello, forse, il misterioso punctum? Quién sabe. Repetita iuvant, sembra volerci suggerire la moltiplicazione in serie di quei volti. Letizia Battaglia prova a chiudere i conti con il passato, quello violento dei morti ammazzati, raffigurandone altri paradossalmente più vivi che mai; ancora una volta, fa della bellezza e della cultura il miglior antidoto contro l’omertà e l’aridità d’animo. Perché, come cantava Francesco Guccini: «da sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte».

Dal 20 marzo 2015 al 16 maggio, Associazione Nuvole Incontri d’Arte, Palermo; info: www.associazionenuvole.it

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