Al via Miart

Dal 10 al 12 aprile Fieramilanocity apre ufficialmente le porte al pubblico del Miart 2015, la fiera internazionale di arte moderna e contemporanea che da vent’anni attira su di sè l’attenzione di critici, collezionisti e appassionati d’arte. Con l’Esposizione Universale alle porte, Milano si dimostra determinata nel proiettare il tessuto artistico nazionale fuori dall’Italia e allo stesso tempo nel portare il mondo all’interno dei suoi confini. «Nel corso della storia europea ciclicamente una città assume il ruolo di leadership culturale – ha affermato l’assessore alla cultura Filippo del Corno durante la conferenza stampa di presentazione – lo hanno fatto Barcellona prima e Berlino poi; oggi Milano possiede le potenzialità per fare altrettanto». L’inizio di Miart coincide con il lancio di una serie di eventi fisicamente al di fuori del polo fieristico e tutti a Milano, come la mostra Arts & Foods alla Triennale, la retrospettiva dedicata a Juan Munoz all’Hangar Bicocca oppure l’esposizione Growing Roots a Palazzo Reale, solo per citarne alcuni. Eventi di questo tipo insieme ad inaugurazioni e aperture speciali rientrano nel programma The Spring Awakening, che nasce dalla collaborazione tra istituzioni pubbliche e fondazioni e gallerie private e che altro non è che il nome tecnico per indicare la presenza di un Fuori Miart.

La dimensione internazionale di Miart è attestata dai numeri: il 46% delle 154 gallerie che espongono, infatti, proviene dall’estero, con Stati Uniti e Regno Unito in testa agli altri Paesi. Lista integrale delle gallerie alla mano, un secondo elemento che salta agli occhi è la presenza di gallerie con base all’estero e a Milano. Le proporzioni cambiano tuttavia nel momento in cui si distinguono le quattro diverse sezioni di cui la fiera si compone. Se Milano e qualche altra città culturale come Firenze e Bologna compaiono nella sezione Established, rappresentata da artisti contemporanei ormai affermati a livello internazionale, tale evidenza si riduce drasticamente in Emergent, dedicata a 19 gallerie d’avanguardia e orientata alla ricerca di giovani artisti. Situazione abbastanza simile si riscontra nella sezione THENnow, con le grandi eccezioni di Lorenzelli Arte e Kaufmann Repetto di Milano. Per la sola sezione adibita agli oggetti di design contemporaneo, Object, gallerie italiane ed estere sono equamente distribuite. Insomma, anche solo da questi dati si può dire qualcosa: l’Italia non osa, ma senza dubbio ci prova a riaffermarsi in un campo che per la “sola” eredità che ha dovrebbe spettarle di diritto.

Per quanto riguarda la parte artistica che si potrà osservare a Miart, è difficile fornirne una panoramica e forse tale problematicità è intrinseca nell’arte contemporanea stessa. Si passa dalle masse agguerrite e dorate di Pomodoro, alle sculture filiformi di Melotti, dalle donne definite e rotondeggianti di Botero alle nubi di fumo bruciate di Pae White. Ciascuna opera occupa e prende di prepotenza il suo spazio e attende o magari pretende una creazione di significato da parte di chi la guarda. L’incomprensione di fronte a queste opere è forse l’unico sentimento nell’arte che oggi può avere una dimensione universale, probabilmente insieme, paradossalmente, al carattere privato del rapporto opera-spettatore. Lo spettatore che vede nella rassegnazione l’unica reazione plausibile non coglie la sfida a cui l’arte contemporanea lo sta chiamando: partecipare nella generazione di senso e dell’opera d’arte. È proprio nella contraddizione, tensione tra carattere privato e democratico, immediatezza e complessità, istinto e razionalità e nel suo superamento che si riscopre il senso perduto dell’arte del nuovo secolo. Quindi, l’arte contemporanea provoca, stuzzica e non crede che il suo fruitore riuscirà a comprenderla. Che senso ha reagire? È Milano a rispondere, accettando la sfida di Expo 2015, di cui Miart rappresenta una nobile componente. Stavolta il duello non è tra opera e spettatore ma tra un Paese che esita ad emergere e il mondo che quota a zero le probabilità e le capacità dell’Italia di riuscire. Questa diffidenza non resta che accoglierla, perché, come scriveva Nietzsche: “tutte le cose grandi a prima vista sembrano impossibili”. A voi le conclusioni.

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