Peccato di bambole

Cosa succederebbe se un giorno Barbie prendesse vita? Se scoprisse quante attese di perfezione – come donna, come fidanzata, se non ricordo male anche come sorella – sono state riposte in lei? Forse un nodo le stringerebbe la gola, forse si sentirebbe quasi mancare l’aria. Come se un cappio le stesse per stringere il collo o come se la sua testa fosse stata improvvisamente infilata in un sacchetto di plastica che le ruba ogni respiro.

Come nelle istallazioni di Paolo Massucci, fotografate da Mimmi Moretti per il progetto Dolls Vices, esposte per la prima volta lo scorso dicembre a Londra nella Royal Opera Arcade Gallery e per le quali sono in previsione altre due mostre, a Milano e a New York. Bambole che ricordano il mito di tutte le bambine, imprigionate nel plexiglas con il cappio al collo e gambe penzolanti, soffocate da sacchetti di plastica o da spazi riempiti di siringhe, flaconi di medicinali svuotati e pasticche.

Istantanee di una vita, quella di Massucci, fatta di dipendenze e di una morte che fu più dell’anima che del corpo. E che, adesso che è stata affrontata, superata e chiusa dentro teche di plexiglas, può finalmente osservare alla giusta distanza di sicurezza e di analisi. Alcune le tiene in casa e, con la serenità di chi non dipende più da niente, quando vi passa davanti le guarda e sorride. Dissacrazione di certe, frivole, dipendenze; vetrine moderne di un mondo contemporaneo che vende ansia di perfezione. Alcune di quelle immagini fanno quasi sorridere, come quella di una bambola con le labbra di coloratissimo cristallo swarovski, finte come le labbra siliconate di certe donne che, anta a parte, come anche tanti uomini, peccano di eccesso di vanità. «La bellezza è la mia croce», sembra dire la bambola crocifissa, inchiodata al ridicolo da botox e punturine di acido ialuronico.

Quello che era il gioco di un Buyer di moda per immobilizzare ed esorcizzare una vita che non è, poi, solo la sua, il fotografo Moretti lo ha trasformato in vere e proprie opere d’arte, come d’altronde fa con tutti i suoi scatti, scaraventando l’osservatore in paesaggi metafisici o in labirintiche illusioni ottiche alla Escher. Rendendo quelle immagini drammatiche, riuscendo a svelare il vero volto di Massucci e nel contempo cristallizzando problematiche contemporanee. Alcune delle immagini di questi volti di bambola lasciano l’osservatore inquieto, altre sono così ingigantite nei dettagli che bisogna guardarle da lontano per comprenderle. In altre ancora, i dettagli sono talmente chiari da lasciare senza parole per la durezza di ciò che lasciano vedere, come si trattasse di un velo lasciato cadere, che fa scivolare via la menzogna, denudando la verità. Segnate, macchiate, per scelta di Moretti, come se qualcuno avesse lasciato su di esse un’impronta digitale, quelle danno l’impressione che ci si stia intromettendo, come un curioso o un detective, nelle vite altrui.

Vite di bambole che sono, in realtà, molto umane. Sono umane non solo per consentire di poter immaginare una Barbie che, dal suo scatolo di cartone nella mensola del negozio, prende vita e si sente soffocare dal suo ruolo di donna perfetta da cui non può esimersi. Sono umane non solo perché il lavoro del fotografo in post produzione ha eliminato le giunture che ne assemblavano il corpo. Sono umane perché umane sono le paure, le afflizioni, le dipendenze che le attanagliano, immortalate in uno scatto. Quasi vivisezionando spazi privati di vita: quei momenti in cui l’ansia di perfezione, la depressione o la stessa idea del suicidio vanno a trovare quelle bambole e certi uomini, in stanze chiuse e soffocanti come quelle teche trasparenti in cui Massucci le ha racchiuse. E se molti altri hanno già lavorato con l’immagine della Barbie o di sue simili, anch’esse intrappolate nell’utopia della donna perfetta, ciò che fa la differenza in Dolls Vices è proprio questo immergere una dolcissima bambola nell’amara realtà di tutti i giorni, una realtà, meno rosea, fiorita e zuccherosa.

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