C’è stato un momento in cui l’accozzare case una accanto all’altra è diventata una disciplina e ha smesso di essere un ambaradan. Questa disciplina è l’urbanistica. La lungimiranza è la sua prerogativa, qualità che fa sì di non costruire un muro dove potrebbe nascere una strada. Fra tirare su una città e aprire una galleria non c’è molta differenza: siamo capaci di attaccare quadri al muro o di immaginare casa qui perché qui è più bello. Non fare la fine di Pompei è un’altra storia.
Emanuele De Donno, direttore artistico della neonata Colli independent art gallery lo sa bene: «È necessaria in galleria una programmazione di lunga durata, una lungimiranza se vogliamo. A ogni inaugurazione faremo in modo di avere pronte le cartoline per la mostra successiva». Roma, via di Monserrato 40 si lavora per l’opening del 14 marzo: la prima esposizione della galleria, Continuous days, 12 scatti del fotogiornalista Dino Fracchia. Lo spazio ha però aperto a gennaio ed era una libreria. Con le idee confuse andiamo al bar Perù dove capiamo che Colli, per gli amici, non è solo una galleria. «La programmazione dello spazio – spiega De Donno – è strutturata in quelli che possiamo chiamare quattro momenti o attività: libreria, project room o residenza d’artista, eventi espositivi e cooprodroduzioni».
Fino alla mostra lo spazio è stato una libreria.
«Sì, il bookshop ci serve per non lasciare vuota la galleria fra una mostra e l’altra, per dare la possibilità di vedere, a chi passa, sempre qualcosa. I nostri libri si possono sfogliare, leggere senza essere obbligati a comprarli. Sappiamo che il volume di vendite di questi lavori è relativo, sono libri particolari».
Particolari?
«Più che bookshop potremmo infatti chiamarlo studio bibliografico, perché presentiamo libri di ricerca e d’artista, selezionati fra editori europei e mondiali. Una scelta di nicchia, e di questo ne siamo consapevoli, che però manca nella proposta libraria d’arte contemporanea. La carta stampata è nel Dna della galleria se consideriamo che sono un editore, lavoro per Via industriae, e che la proprietà dello spazio è di un tipografo: Roberto Colli».
Colli come Colli independent art gallery?
«Sì, ci piaceva anche l’assonanza fra i colli dei libri e ovviamente i colli di Roma. Nessuno di noi è di questa città e la galleria, in particolare il bookshop, può essere considerato come un esercizio sul territorio per capire il luogo, le persone che lo abitano e i turisti che lo scorrono. I libri inoltre introducono un tema fondamentale per il nostro spazio: l’arte moltiplicata».
Cioè?
«L’idea di produrre lavori che non siano solo originali ma moltiplicati, con una tiratura capace di incontrare con nuove formule e forme, diverse esigenze di collezionismo, anche giovane. Vorremmo coltivare un’accessibilità all’opera diversa, meno elitaria. Crediamo sia nel valore dell’opera, inteso come prodotto artistico e artigianale, e sia nella sua diffondibilita e siamo disposti a portare avanti il discorso anche a costo di sacrificare in parte l’aura dell’unicità. L’oggetto libro, rispecchia in pieno queste caratteristiche».
La produzione di lavori, invece si lega alle residenze?
«Sì, questo è un altro aspetto della galleria. In un anno vorremmo ospitare due artisti stranieri o italiani per un periodo di circa dieci giorni, ma possono diventare anche venti, per poi esporre i risultati della ricerca nello spazio. Vengono fuori opere specifiche, legate al territorio, progetti che senza fatica possiamo definire speciali. Abbiamo già i primi due artisti: Luca Pucci e Franco Ariaudo. Il primo farà una residenza fra aprile e maggio il secondo durante l’estate per poi esporre a settembre».
Come scegliete gli artisti?
«Del curriculum non ci interessa molto, preferiamo presentare un lavoro che sia affine con il nostro modo di lavorare. E poi siamo aperti a suggerimenti e collaborazioni».
Che dopo il bookshop, l’attività espositiva e le residenze è il quarto punto della galleria.
«Esatto, è l’idea di non diventare un’isola felice, staccata da tutto e da tutti ma inserirsi in un territorio locale, nazionale o internazionale che sia. Non lavorare in solitario ma costruire una rete di relazioni che è anche una possibilità, in un mondo che stringe la cinta, di fare delle economie cooperative di supporto e sostegno. L’intento è collaborare anche con altre gallerie o istituzioni pubbliche lavorando in sinergia per la realizzazione di libri, cataloghi o mostre».
L’esposizione che presentate in questo senso è un ottimo esempio.
«Basta guardare il catalogo realizzato unendo tre realtà diverse: la galleria, via industriae e M+A bookstore. Ci sembrava poi emblematico inaugurare con una mostra di fotografia che rappresenta un giusta chimica fra le varie anime della galleria: l’idea del multiplo e la dimensione artigianale della stampa. Le 12 fotografie in mostra sono infatti state stampate per l’occasione e hanno una tiratura uno su cinque. La prossima mostra è più particolare ed è legata alla grafica artistica, presenteremo infatti una serie di poster realizzati dai migliori studi grafici del mondo. La fotografia ci sembrava un’inizio più soft, ecco».
E se chiudete?
«Facciamo conto che veramente fra tre o cinque anni chiudiamo. Cosa rimane? Abbiamo prodotto un tot di libri distribuiti sul territorio nazionale e internazionale che continuano a girare. Immaginiamo pure che la metà delle opere sono rimaste invendute, fra vent’anni sono una produzione speciale e acquistano un valore a livello di mercato. Se tutto va male, comunque sono state gettate delle basi, qualcosa che si è mosso. Non abbiamo fatto un paio di mostre e poi serrato i battenti come l’ennesima galleria fallita. Ma uno spazio che per il tempo in cui è stato in piedi ha prodotto un risultato quantificabile».
Qui torniamo alla lungimiranza.
«Sì, che insieme alla programmazione è fattore decisivo, ti consente di non durare solo il tempo di una mostra».
Fino all’11 aprile, Colli independent art gallery, via di Monserrato 40, Roma