Hanno inaugurato al Macro Testaccio le mostre di due interessanti artisti viventi, lo statunitense Eugene Lemay e lo scultore romano Giuseppe Ducrot. I due, che sono quasi coetanei, hanno origini, storie e aspirazioni artistiche totalmente differenti. Ospitati ognuno in un diverso padiglione del museo, gli artisti non sono messi a paragone, al contrario offrono due prospettive diverse e peculiari della scena artistica contemporanea. Lemay nasce nel 1960 nel Michigan da madre siriano-libanese e padre franco-canadese. A soli 13 anni si trasferisce con l’intera famiglia, convertitasi all’ebraismo, in un kibbutz in Israele, per arruolarsi in seguito nell’esercito. Nel 1982 combatte nel primo conflitto in Libano, l’esperienza della guerra lo segna indelebilmente e porta l’angoscia all’interno delle sue opere, soprattutto in quelle di grandi dimensioni, che restituiscono una sensazione di totale spaesamento. La mostra Dimensions of dialogue, curata da Micol di Veroli propone una selezione di opere e di installazioni che indagano sul tema del dialogo. Gli elementi che compongono i lavori dell’artista sono astratti dal loro contesto originale per fare parte di una diversa dimensione spaziale, mutando senso e concezione. Lemay utilizza l’opera come ponte tra due linguaggi differenti, da una parte l’esigenza dell’artista di esprimere le emozioni derivanti dal suo vissuto, dall’altra lo spettatore e la sua libera interpretazione.
Ducrot, classe 1966, utilizza la scultura come principale mezzo espressivo declinandola nelle più diverse tecniche. La sua carriera è ricca di opere frutto di importanti commissioni, come per esempio il busto di Marco Aurelio giovane per la facciata del museo Borghese di Roma. Con il monumento a San Benedetto per la città di Cassino, l’artista romano si confronta per la prima volta con la scultura monumentale realizzata per spazi pubblici, indirizzando così il proprio percorso degli anni successivi. Tale scelta lo porta nel 2009 a realizzare la statua in marmo di Carrara di Sant’Annibale Maria di Francia, per una nicchia esterna della basilica di San Pietro. La realizzazione completa di quest’opera, durata circa quattro anni, è riprodotta in un interessante documentario di Chiara Nano proiettato all’interno della mostra. Oltre a queste attività legate alle committenze Ducrot sperimenta altre tecniche attraverso la lavorazione di ceramica e terracotta invetriata.
Per il Macro, sotto la curatela di Achille Bonito Oliva, lo scultore presenta una serie di opere in resina, bozzetti in ceramica, terracotta invetriata e scenografiche forme neobarocche. Un’estetica dello scolpire originale e inaspettata, che unisce antico e moderno. Il percorso espositivo è diviso in quattro sezioni, Genius loci, Committenza, Materia e Vanitas, per una panoramica completa sul procedimento creativo che caratterizza la carriera di Ducrot. Entrambe le mostre offrono spinte visive ed emozionali, seppur nelle loro differenti complessità, rappresentando due autentici esempi di stimolante arte contemporanea.
Dal 20 febbraio al 10 maggio; Macro Testaccio, piazza O. Giustiniani 4, Roma; info: www.museomacro.org