Chiara Mu ad AlbumArte

Qualche settimana fa in un incontro negli spazi della galleria AlbumArte, Chiara Mu invitava professionisti dell’arte contemporanea e pubblico a riflettere sull’identità stessa della performance a partire da un interrogativo: si può collezionare tempo e spazio? In altre parole, se la performance è un momento – e uno spazio – di condivisione fra artista e fruitore, in cui i due attori si trovano a interagire reciprocamente, se di questo tempo e di questo spazio non resta nessuna traccia, se non l’hic et nunc del momento vissuto, come può la performance entrare nel circuito del mercato dell’arte? A questa domanda Chiara rispondeva che la performance è un’esperienza che l’artista decide di donare al suo pubblico, come dimostra l’insolita serie di benefit che ha deciso di concedere ai donatori che avessero contribuito alla sua causa nella campagna di crowdfunding sulla piattaforma Indiegogo: tutte forme di tempo da passare al suo fianco da dedicare ai cosiddetti Esercizi di visione. A qualche giorno di distanza l’artista dimostra di credere fermamente alla sua risposta, presentando ai visitatori una serie di esperienze che fanno una grande esperienza sorprendente e inaspettata, che ha a che fare col tempo, con lo spazio e con le persone.

Non si tratta di una mostra semplice, nel senso che per poterla affrontare servono presupposti semplici, come avere del tempo e avere la voglia di mettersi in gioco (cose che di semplice, spesso, sembrano non avere nulla). Per un pubblico di abituati a restare in piedi davanti a un’opera o ad assistere a una performance come fosse uno spettacolo teatrale esplorare il micro cosmo creato da Chiara Mu significa volersi mettere in ascolto e avere voglia di parlare, senza vergognarsi, senza aver paura di sbagliare, senza pensare cosa ci sto a fare qui. Nello spazio di AlbumArte, trasformato dalla penombra, si entra un po’ per volta e all’interno si sente solo bisbigliare. Si resta un po’ imbarazzati, si prova a osservare il comportamento degli altri, alla ricerca di qualcuno da imitare. Si ha quasi paura a restare soli in mezzo alla sala, dopo che si è capito che in mezzo alla folla si nascondono dei performer che, insieme all’artista, indirizzeranno i visitatori a guardare e sentire con occhi diversi. L’ingrediente necessario probabilmente è un pizzico di coraggio. Solo in questo modo si può salire su una scala pur sentendo le vertigini per toccare un tetto, che è il punto più alto che possiamo toccare prima del cielo; solo in questo modo si può decidere di ascoltare il vuoto in uno spazio completamente bianco; solo in questo modo ci si può stendere, senza scarpe, su un materasso per sentire il lontananza il suono dell’acqua di un fiume che scorre lì sotto, da qualche parte; solo in questo modo si può guardare al di là di una finestra o vedere cose che non si vedono a occhio nudo con la luce di una torcia; solo in questo modo si può credere che Prometeo abbia lasciato il suo fuoco a due custodi molto speciali che lo tengono stretto senza distrarsi mai. È lecito domandarsi dove andrà a finire tutto questo, se non ne resterà traccia da nessuna parte se non in quell’antica tradizione orale che ha portato avanti tradizioni per secoli. Eppure sembra un bene che il tempo non possa essere cristallizzato nelle strette dinamiche del mercato. Le cose belle si possono vedere una volta sola.

Dal 19 febbraio al 1° aprile, AlbumArte, Via Flaminia 122, Roma; info: www.albumarte.org

Orario: Nei giorni successivi l’opening, la visita avverrà esclusivamente con una persona alla volta, tenendo per mano l’artista, su prenotazione, dal mercoledì al venerdì dalle 15:00 alle 19:00. Ogni sabato invece la mano dell’artista è offerta a chi prima arriva, senza prenotazione, dalle 11:00 alle 19:00. Le prenotazioni si effettuano inviando una e-mail a [email protected] o telefonando negli orari di apertura della mostra al numero +39063243882.

foto Massimiliano Carboni, courtesy AlbumArte

 

 

 

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