The future is now

Al Maxxi, circa quaranta opere provenienti dalla collezione del Mmca (Museo nazionale d’arte moderna e contemporanea, Corea) ricostruiscono la storia della new media art coreana. Il 2014 è stato il 130esimo anniversario del trattato che ha sancito l’inizio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Corea e la mostra, inaugurata a dicembre e organizzata dal museo coreano in coproduzione con il Maxxi, ne riflette lo spirito di collaborazione. L’esposizione è stata suddivisa cronologicamente in quattro settori, dai lavori dei pionieri come Nam June Paik fino alle nuove generazione imbevute di cultura digitale e di social network, passando per quelle degli anni ’80 e ’90. Suddivisione utile a fini didattici ma che nella pratica risulta un po’ forzata, caotica e non sempre facile da seguire nelle due sale che ospitano la mostra.

Agli anni ’60 risalgono i primi esperimenti di video arte di Paik, di cui un esempio è dato da Magnet TV, in cui un tubo catodico posizionato all’esterno del televisore, se mosso dal pubblico, fa apparire sullo schermo pattern astratti. Alla stessa generazione appartiene anche Park Hyunki, in mostra con la serie Untitled, una riflessione sul rapporto tra realtà, illusione e continuità, esemplificata dalla presenza di alcuni sassi e dall’immagine di un altro sasso in uno schermo. In Beyond Description, Kim Bumsu utilizza la pellicola cinematografica non per realizzare video ma sfruttandone la matericità. Così film classici coreani o film d’azione, vengono impiegati per realizzare tre pannelli ad arco simili alle vetrate luminose di una chiesa. Quella di Zin Kijong è una critica alle informazioni offerte dai media, fabbricate e finte, così come finta è la sua versione della CNN. Su uno schermo vanno in onda le notizie di un canale all news e accanto se ne mostra la reale provenienza: un vero e proprio set in miniatura, costruito con tanto di luci.

Park Junebum appartiene invece a quella generazione di artisti che ha contribuito a rendere la video arte, alla fine degli anni ’90, forma d’arte autonoma e non più associata all’istallazione. Nei suoi video, come un moderno demiurgo, crea e cambia gli spazi rappresentati in una foto incollandoci sopra a suo piacimento porzioni di altre foto. In Making Songdo, per esempio, assistiamo alla costruzione repentina di una città immaginaria. Sound Looking-Rain di Kim Kichul è una rappresentazione fisica e visiva della pioggia costruita da altoparlanti che ne riproducono il suono e in mezzo ai quali lo spettatore può liberamente muoversi. Queste solo alcune delle numerose opere in mostra, utili però a restituire la grande eterogeneità, per intenti e datazione, caratterizzante The future is now. Il titolo della mostra è tratto da una frase pronunciata dallo stesso Nam June Paik: «People talk about the future being tomorrow, but the future is now!».

Fino al 15 marzo 2015, MAXXI, via Guido Reni 4A, Roma; info: www.fondazionemaxxi.it